Il Mistero di Prometeo
Prometeo
MEKONE LA CADUTA NELLA GENERAZIONE
La mitologia greca narra che all’inizio del mondo gli Dèi e gli uomini erano uniti: “Della stessa origine sono gli Dèi e gli uomini”1. Secondo la tradizione mitologica greca l’umanità discende, esattamente come gli Dèi da Gaia, la Madre Terra. Nel Protagora di Platone, accenna un tratto del mito non toccato né da Esiodo né da Eschilo, ma che forse già era noto a Saffo: la creazione degli uomini per opera di Prometeo. Platone nel Protagora narra che vi fu un’epoca in cui gli Dèi esistevano ma gli esseri non esistevano ancora, quando arrivò il tempo predestinato, gli Dèi formarono gli uomini con terra, fuoco e tutto ciò che si mescola con questi elementi. Quest’umanità rappresenta la prima creazione, fatta con la materia sul nostro pianeta.
Il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di Vita e l’uomo divenne un essere vivente. Genesi, II, 7.
Volendo portare questi uomini alla luce, gli Dèi ordinarono ai fratelli Prometeo ed Epimeteo di ornare questi esseri formati dalla terra, e di distribuire tra di loro le capacità secondo quanto ciascuno di loro spettava. Ricevettero da Atena e dagli altri Dèi un numero limitato di “buone qualità” da distribuire saggiamente fra tutti gli esseri viventi. Accadde però che Epimeteo persuadesse il fratello di agire da solo, volendo distribuire le capacità da sé e essendo un malaccorto incominciò a distribuire le qualità agli animali dimenticandosi degli uomini, diede tutte le qualità agli animali, lasciando nudo e scalzo l’uomo.
A questo punto s’innestano le azioni di Prometeo in favore di un genere umano che viveva una vita miserevole, ma che dovevano portare alla completa separazione fra il mondo degli Dèi e quello degli uomini. Esiodo scrive che un giorno Dèi ed uomini vennero a confronto, nel senso che si separarono, si distinsero.
Esiodo in Teogonia (535 e sgg.) fissa nel solenne sacrificio del Toro a Mekone (Mecone), nel pasto sacro, la data della separazione e della conseguente trasformazione che inaugura la storia attuale umana. Il Toro nella mitologia greca era anche il simbolo di Zeus, Poseidone, e il sacrificio dell’animale simboleggiava la morte cioè la caduta nella forma e la successiva rinascita della divinità. Anche Dioniso era rappresentato in forma di uomo-toro con le corna alte in testa, e veniva onorato nelle “feste della fertilità”. Un sacrificio del toro è stato incluso anche come parte integrante del culto misterico Elusino di Demetra e Persefone.
“Comuni erano i pasti, comuni i sedili agli Dèi immortali e agli uomini mortali” (Esiodo frammento 82 Ratz.).
Esiodo dice che a Mekone, al banchetto degli Dèi Prometeo sacrifica un grande Toro, ma commette l’imprudenza di ingannare Zeus nella divisione delle carni, tenendo per sé e per gli uomini la carne e il grasso, per Zeus invece le ossa avvolte in lucido grasso. Inconsueto modo di dividere, agli Dèi toccavano le ossa bianche ricoperte o nascoste, di grasso bianco, agli uomini le interiora e la carne della vittima sacrificale. Zeus scoprendo l’inganno lanciò una maledizione sugli uomini. Fu da allora che gli uomini cominciarono a lasciare agli Dèi le parti immangiabili (le ossa) delle bestie sacrificate, consumandone invece la carne, in cambio della loro mortalità.
La località di Mekone, dove questa decisione ebbe luogo, si sposta in una sfera particolare. Geograficamente questo luogo Mekone (dal greco μηχων = papavero)2 è indicato come il “campo di papaveri”. Il papavero è noto come il fiore dell’oblio, la caduta nel mondo materiale doveva portare torpore e oblio, dimenticanza delle proprie origini divine.
Esiodo parla della pianura di Mekone, dove un tempo uomini e dèi vivevano in promiscuità e dove non era necessario guadagnarsi il pane con fatica: ma la condizione degli umani che viene qua evocata è una sorta di apatia da assenza di desiderio, la Seconda generazione, quella dell’età dell’Argento. Gli uomini che perdono la libertà al tempo del sacrificio sono quelli della razza o Generazione di Bronzo, i figli dei Frassini. Lo sfrontato inganno effettuato da Prometeo doveva essere punito e Zeus, senza colpire il colpevole, tolse il fuoco agli uomini e lo nascose. Di Prometeo si dice esplicitamente che egli sia stato il primo ad uccidere il Toro, animale da sacrificio (Plin. VII, 209).
K. Kerényi scrive: “L’invenzione e la prima esecuzione del sacrificio caratteristico di una religione può considerarsi quasi un atto della creazione del mondo”, la fondazione di un “nuovo ordinamento cosmico”. Il sacrificio del Toro simboleggia dunque l’origine della creazione. Un particolare di un oinochoe (brocca) raffigurante un momento del sacrificio greco, mostra la corona indossata durante il rito per rammentare la “corona” che Prometeo fu costretto a portare dopo essere stato liberato dalle catene.
FIGURA 1. OINOCHOE ATTICO A FIGURE ROSSE, RISALENTE AL 430 A.C. E RAFFIGURANTE UN MOMENTO DEL SACRIFICIO GRECO (MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI).
Per Eschilo, la corona donata a Prometeo è antìpoina, una retribuzione, che è anche un riscatto. Prometeo se l’era meritata rivelando a Zeus che il figlio di Lui e Teti, se fosse nato, lo avrebbe soppiantato, per questo Zeus non si avvicinò mai alla ninfa invadente (Igino, Le favole). Così Prometeo, dopo aver ingannato il dio lo aveva anche salvato. E ora rimaneva fra gli uomini portando loro una nuova rivelazione, dopo di quella del fuoco: la corona. Dalla catena alla corona: era sempre un vincolo, perché tutto ciò che di forte ci assale è un vincolo. Ma ora, quel vincolo, si alleggeriva, diveniva fragile e morbido, cingeva mollemente la testa, perché nella testa sono tutte le nostre sensazioni. Che cosa di tanto prezioso si celava in quell'intreccio vegetale? La perfezione (téleios), che era il dono greco per eccellenza, quello che perseguirono in ogni occasione. Plinio il Vecchio (I sec.), Storia naturale libro XXI.
In Astronomia Igino ci racconta che Afrodite, per costruire il suo cinto, la sua corona, il suo vestitino, si fa prestare un po’ di fili dalla rete soffocante di Ate (Ἄτη), una delle dèe degli Inferi (rovina, inganno, dissennatezza), e si veste di quella corona invalicabile: la quale corona, per le belle forme di Afrodite, appare a forma di cuore.
Theone di Smirne, in Mathematica, divide i riti misterici in cinque parti, la quarta, che è il fine e lo scopo della rivelazione, consiste nel legare la testa e fissare la corona. Pitagora quando descrive i suoi sentimenti dopo l’iniziazione e ci dice di essere stato incoronato dagli Dèi nella cui presenza aveva bevuto “le acque della vita”, â-bi-hayât, la fontana di vita3.
Esiodo in Teogonia narra che Zeus “non concedeva” il Fuoco agli uomini. Per i profani l’interpretazione è dovevano mangiare la carne cruda come gli uomini delle caverne. Esiodo in Le Opere e Giorni scrive che Zeus “destinando al genere umano penose sofferenze, egli nascondeva il Fuoco”. La condizione umana è così descritta da Esiodo:
Prima, infatti, sopra la terra la stirpe degli uomini viveva lontano e al riparo dal male, e lontano dall'aspra fatica, da malattie dolorose che agli uomini portan la morte - veloci infatti invecchiano i mortali nel male.
Prometeo ruba per l’umanità il Fuoco, dalla “Ruota del Sole” nascondendolo all’interno di una canna palustre, una ferula cava. Secondo un’altra tradizione di tipo misterico, Prometeo avrebbe sottratto il Fuoco non dalla ruota del Sole ma dalla fucina di Efesto, nell’isola di Lemno, la patria degli Ephaistoi, i ‘figli di Efesto’ e soprattutto dei Kabiri con il culto e l’iniziazione misterici dedicati a questi Dèi Primordiali. Esiodo scrive che Zeus s’adirò contro Prometeo ordinando a Efesto di creare una statua, una figura femminile di grande bellezza che gli Dei adornarono di tutti i pregi possibili, a cui venne dato il nome di Pandora, colei che è fornita di tutti i doni.
O figliolo di Giapeto, tu che sei il più ingegnoso di tutti, ti rallegri di aver rubato il Fuoco e di avere eluso i miei voleri: ma hai preparato grande pena a te stesso e agli uomini che dovranno venire. A loro, qual pena del fuoco, io darò un male del quale tutti si rallegreranno nel cuore, facendo feste allo stesso loro male”. Così parlò, poi rise il Padre degli uomini e degli Dèi. (Esiodo, Le opere e i giorni, 54-59).
Per punizione narra Esiodo, il gemello Epimeteo avrà la Prima Donna, ordinò ad Efesto di plasmare con la terra una fanciulla, Pandora. Secondo altre tradizioni era stata creata come una statua dai Dattili e dai Kabiri, oppure era emersa dalla terra come una dea.
FIGURA 2. SKYPHOS ATENIESE A FIGURE ROSSE RAFFIGURANTE LA PRIMA DONNA CHE ESCE DALLA TERRA E FAUNII DANZANTI (MUSEUM OF FINE ARTS BOSTON).
Zeus affidò Pandora ad Ermes perché la portasse in dono a Prometeo ma questi, pensando a un inganno, rifiutò il dono che accettò Epimeteo. Narra Esiodo in Le Opere e i Giorni, che da Pandora discenda la generazione delle donne. Ad Atena che le insegnasse le arti il saper tessere trame ben conteste, ad Afrodite Zeus ordina di circonfondere la testa di Pandora di fascino amoroso e di struggenti desideri, ad Ermes di dotarla di una spudoratezza di cagna e di fallacità, e di accompagnare la donna da Epimeteo.
FIGURA 3. CALYX-KRATER- RAFFIGURANTE I DONI DI PANDORA (BRITISH MUSEUM LONDRA).
Un dettaglio di un Calyx-krater o vaso attico a figure rosse, c. 460-450 a.C., trovato ad Altamura, in Italia, attribuito al pittore Niobido raffigura Pandora e gli Dèi dell’Olimpo. La dea Afrodite si avvicina a Pandora con una corona di mirto. Ares, armato di scudo e lancia, e Poseidone, con un tridente, stanno su entrambi i lati, ma volgono lo sguardo in verso opposto, Ares in direzione Hermes e Poseidone verso Zeus.
Epimeteo non tenne presente che da Prometeo era stato avvertito: “Non devi accettare doni mandati da Zeus olimpio, ma rimandali subito indietro, se vuoi evitare malanni ai mortali”. Quello riceve e, quando tocca il malanno, capisce. Prima di allora le razze degli uomini sopra la terra erano immuni dai mali: ignari di dure fatiche, non conoscevano i morbi penosi che danno la morte. Le Opere e i Giorni, 85 e segg.
I doni suggeriscono che una ragione della creazione di Pandora fosse quella di mettere gli uomini nel tormento con il fuoco dell'amore sensuale, un fuoco più feroce e diverso di quello che Prometeo aveva rubato agli Dèi per l'umanità. Epimeteo è colui che non prevede, simbolicamente l’umanità cieca e priva di saggezza. Pandora portava in dono un cofanetto, Epimeteo accettò il dono degli Dei, nonostante il parere contrario di Prometeo, il preveggente, il Sé Spirituale. Quando Epimeteo aprì il cofanetto volarono fuori tutti i possibili malanni per gli uomini. Soltanto Elpis, la Speranza rimase chiusa nel cofanetto, perché Pandora aveva rinchiuso in fretta il cofanetto. La speranza è il male di tutti i mali perché la speranza, per la fine del dolore, è la condizione che costringe uomini e donne a vivere nel dolore nell'attesa dell’evento salvifico. Esiodo chiamò il regalo della prima donna, un dono fatale. Con questi mali vennero le malattie e la morte e così si compì la distinzione fra uomini e immortali. Prima del dono di Pandora il genere umano era vissuto sulla terra senza alcun male, senza fatiche e malattie, composto da soli maschi, allusione alla non avvenuta separazione dei sessi. Il significato occulto è che nell’Età dell’Oro il genere umano viveva felice ed esente da dolori e da malanni, fino a quando non conobbe il libero arbitrio. Nella Genesi ebraica è narrato che Adamo ed Eva (separati) dopo aver rubato il frutto proibito sono scacciati dall’Eden dove vivevano felici ed esenti da malattie. Il Signore scacciò la coppia e li maledì:
Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai i figlioli.4
Un fatto simile è narrato nella mitologia egiziana, Noom, l’artista celeste crea una meravigliosa bellezza, una fanciulla che manda a Batoo, dopo di che la felicità di quest’ultimo è distrutta. Batoo è Adamo, la bellissima fanciulla è Eva. Con la perversione dell’istinto di procreazione, ciò che prima era facile e senza sofferenza, come per gli animali, ora non lo è più, la donna genera i propri figli con dolore e difficoltà.
FIGURA 4. ERACLE LIBERA PROMETEO INCATENATO (TEMPIO DI AFRODITE AD AFRODISIA )
Narra Esiodo che Zeus, più indignato che mai, per punizione fece legare Prometeo mani e piedi con catene speciali da Efesto a un palo o una colonna, come un palo (immagine dell’Asse del Mondo). Infine ordinò a un’aquila che gli squarciasse il petto e gli divorasse ogni giorno il fegato, che però essendo il Titano immortale, durante la notte ricresceva. Il dono di Prometeo al genere umano si rivela fatale: è creata una Razza o Generazione che, non riesce a dominare l’apparato emozionale, e in particolar modo l’appetito sessuale, che come Prometeo è condannata a essere divorata dall’aquila delle passioni.
Nel mito greco di Prometeo, Zeus e gli Dèi dell’olimpo rappresentano la Legione dei Progenitori del genere umano, solo che essi creano una razza di animali, di scimmioni sprovvisti di mente. In aiuto a quest’umanità primitiva giunge il Titano Prometeo rubando il Fuoco agli Dei per portarlo agli uomini. Gli Orfici per descrivere questi angeli imprigionati nella materia, dicono che essi furono rinchiusi in una bara, una tomba di carne. Tale caduta fu probabilmente prematura e gli uomini risultarono più coscienti, ma più fisicamente deboli rispetto agli animali. Per questo motivo Esiodo è molto severo nei confronti del Titano, perché i creatori spirituali appaiono come vinti, dei deboli, rispetto ai creatori materiali padroni delle forze cosmiche inferiori.
La mitologia greca afferma che all’inizio il genere umano era tutto maschile e come dice K. Kerényi5, con questa stirpe di maschi i primi uomini era collegata la stirpe titanica di Giapeto e innanzi tutto dei suoi due figli Prometeo ed Epimeteo. Secondo gli Orfici i Titani erano gli antenati colpevoli degli uomini. Esiodo conservò per noi nel racconto del furto del Fuoco la parola melioi forma maschile di meliai per indicare gli uomini e più precisamente i maschi che appartenevano alle Ninfe del Frassino. Più tardi si immaginarono questi uomini, i Melioi, che stavano sotto i frassini come frutti caduti. Siamo dunque ai tempi della Terza Generazione o Razza.
Scrive Károly Kerényi6 che i nomi Prometheus ed Epimetheus non costituivano forse originariamente un essere doppio, l’Uomo Primo che con quella Donna prima ha generato il genere umano? L’essere doppio Prometeo-Epimeteo diviene il rappresentante e il progenitore del genere umano. Il mito maschera il fatto che l’umanità di allora era come l’essere doppio Prometeo-Epimeteo, nel Convito Platone per mezzo di Aristofane spiega:
La nostra natura anticamente non era la stessa d’adesso. Essa era androgina, la forma e il nome partecipavano del maschio e della femmina ed erano comuni a entrambi.
La Genesi ebraica descrive il Primo Adamo o la Prima Generazione come asessuata, finché il Signore fece scendere un torpore sull’uomo che si addormentò: questo è il sonno dell’inazione mentale, lo stato d’incoscienza di una razza ancora sprovvista del potere mentale. Dopo viene lo stadio Adamo-Eva, la Seconda Generazione ancora senza mente (non avevano ancora assaggiato il frutto della conoscenza del Bene e del Male), poi la Terza Generazione quando da Adamo è creata Eva, non generata, ma estratta come per scissione da una costola di Adamo, cioè parte integrante. Solo dopo l’espulsione dal Giardino, Adamo come essere separato conobbe (sessualmente) Eva come sua moglie. Nel capitolo quinto della Genesi, noto come il Libro della Generazione, è ripetuto:
Quando Dio creò l’Uomo lo fece a sua somiglianza; “Maschio e Femmina li creò … e diede loro il nome di uomo”7.
Il rabbino Geremia ben Eleazar ribadisce questo concetto: “Il Santo benedetto Egli sia! Nell’ora in cui creò il primo uomo, lo creò androgino, secondo quanto detto: Uomo e Donna Egli creò”. Nei vari Purana Indù e nel Pukshkara Mahatmya, la separazione dei sessi è allegoricamente rappresentata da Daksha che si divide in due, trasformando l’altra metà di se stesso in femmina, con la quale s’unisce e genera delle figlie, le future donne della Terza Razza. Da quel tempo in poi le creature viventi si generarono tramite rapporto sessuale. In seguito la generazione avvenne attraverso l’accoppiamento sessuale fra maschi e femmine. Prometeo amico dell'umanità, ruba nella fucina di Efesto e di Atena insieme col Fuoco la Saggezza, e riesce così a infondere nelle anime delle nuove creature la preziosa scintilla divina. In Platone, dunque, è per la prima volta manifesta la concezione del Fuoco rubato da Prometeo come dell’energia spirituale che anima gli uomini. Apparentemente il dono di Prometeo si rivelò un male, in quanto dopo la separazione dei sessi gli uomini caddero nella generazione materiale rimanendone incatenati, come il Titano, alla roccia della materia. Deucalione figlio di Prometeo e Pandora formano una coppia separata non più un essere doppio ripopolando la terra dopo il Diluvio voluto da Zeus.
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1 Esiodo, Opere e Giorni, 108.
2 K. Kerényi, Miti e Misteri, sezione Prometeo, p. 208. Boringhieri.
3 H.P. Blavatsky Iside Svelata II, Elevato carattere degli antichi “misteri”.
4 Genesi, III, 16.
5 Károly Kerényi Gli Dèi e gli Eroi della Grecia 1, Prometeo e il genere umano.
6 K. Kerényi, Miti e Misteri, sezione Prometeo, p. 203. Boringhieri.
7 I Revisori non sapendo commentare un testo a loro oscuro, hanno cambiato secondo la logica occidentale uomo in uomini, nella versione dei protestanti appare uomo.
PROMETHEUS - NOMEN OMEN
I Latini in accordo con la tradizione misterica di tipo pitagorica erano convinti che nel nome della persona fosse indicato il suo destino. Nomen omen è una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa “il nome è un presagio”, “il destino nel nome”, di nome e di fatto. I nostri antenati sapevano che ogni nome possieda in sé una “potenza”, ”un destino” o una vocazione particolare. Il nome assume il significato di essenza stessa dell’essere. Ecco spiegata la corrispondenza in latino tra i termini nomen, nome, numen potenza spirituale, e numerum numero, e infine omen presagio.
Il mito è tale perché utilizzando un linguaggio simbolico e allegorico permette più livelli di interpretazione. Questo studio svela due aspetti del nome Prometheus (Prometeo) uno riferito al macrocosmo, e uno al microcosmo.
Il riferimento al macrocosmo è al Fuoco Agni della mitologia indù. In un’opera del prof. Khun (1886) in passato contestata e attualmente rivalutata da Giorgio de Santillana[8], la parola “Pro-metis” (Προ-μητις) è fatta risalire alla parola sanscrita Pra-mantha, il bastoncino tramite cui si ottiene per sfregamento con moto rotatorio il Fuoco Sacro nel rito sacrificale dei Veda, cui il Titano sarebbe collegato per il suo rapporto mitico con il Fuoco. Il prof. Khun afferma che il termine sanscrito manthami, passò nella lingua greca divenendo manthano cioè apprendere, appropriarsi di conoscenza, da cui la parola pro-metheia o preveggenza. Prometeo è un Pramantha, e come il Dio Agni (Fuoco), come Osiride, come Quetzalcoath, essi simbolizzano l’Asse del Mondo.
La radice mand o manth contiene infatti l’idea del movimento rotatorio e la parola manthami usata per designare il processo dell’accensione del fuoco, acquistò il significato secondario di “rapire o portar via”; da pramatha, che significa “furto”. La parola sanscrita manthami passò nella lingua greca divenendo manthano, “apprendere”, e nel nostro caso, “appropriarsi della conoscenza”, da cui pro-metheia, “preveggenza, previdenza”. Come Prometeo nel mito greco aveva un fratello sciocco, cosi nel mito indù Pramanthu, fa coppia col fratello ‘sciocco’, Manthuè, da cui la coppia greca: l’intelligente, preveggente e provvido Prometheus e il tardo, dissennato, Epimetheus, “che conosce dopo”.
L’Athara-Veda afferma che i bastoncini del fuoco appartengono allo Skambha, all’Asse del Mondo, così Prometeo, il Pramantha s’identifica con lo Skambha o Asse del Mondo.
In India, gli antichi Ariani avevano come simboli di Agni il Fuoco e la Croce. Ogni volta che il devoto indù desidera adorare Agni e ottenere il Fuoco Sacro, usa due pezzi di legno disposti a croce Arani, e, da un turbinio peculiare e il fuoco attrito ottenuto per il suo sacrificio; in alcuni casi i legni sono ritualmente fissati alla terra con quattro chiodi. Il bastone centrale, il Pramantha è il quinto punto, il chiodo di legno rotante.
Il simbolo è una variante della Svastica la croce mobile o rotante che è così associata a Prometeo, che per inciso era incatenato o crocefisso alla roccia.
Il simbolo è universale, così antico e così sacro, che è difficile fare uno scavo nelle antiche città senza trovarlo, si trova dappertutto inciso sulle rocce nell’Asia Centrale, come Tau e Svastica, nella Scandinavia pre-cristiana.
Figura 5. La Svastica il Pramantha
Secondo l’archeologo Giovanni Battista de Rossi (1822-1894), padre dell’archeologia cristiana, la Svastica, dopo un periodo iniziale, fu la forma preferita della croce, impiegata per un significato occulto, a Roma, dove i primi cristiani dovessero nascondere se stessi e la loro religione - è stata chiamata Crux Dissimulata[9].
La Svastica, associata a Prometeo, è il simbolo per eccellenza collegato alla Quinta Generazione o Razza Madre. È il simbolo più sacro dell’India, è menzionato nel Ramayana con il massimo rispetto. Sono gli Indù, i primi a formarla, piegando le quattro estremità della croce. Il suo simbolo era impresso sul cuore di Buddha, e pertanto era chiamato “il Sigillo del Cuore”. È posto sul petto degli Iniziati dipartiti dopo la loro morte. La Svastica è incisa su ogni roccia, tempio dell’India e edificio preistorico e dovunque i Buddhisti hanno lasciato i loro punti di riferimento; si trova anche in Cina, Tibet e nel Sud-Est asiatico e fra le antiche nazioni Germaniche come Martello di Thor: il “Martello dell’Operaio” che fa sprizzare le scintille dalla selce (lo Spazio), e quelle scintille diventano Mondi.
Né le fiamme di Surtur, né le acque furiose di parecchi diluvi li avevano ancora distrutti. Allora vennero i figli di Thor. Essi portarono con sé il Miölnir, non come arma di guerra ma come strumento (martello) con cui dovevano consacrare i nuovi cieli e la nuova terra. [10]
È curioso che nel Cristianesimo, l’Agnello di Dio, ha gli stessi simboli del Dio indù Agni. Mentre Agnus Dei espia e toglie i peccati del mondo, in una religione, nell'altra, il Dio Agni, allo stesso modo espia i ripetuti peccati contro la divinità, dell’uomo.
Il secondo significato riferito al microcosmo, all’uomo, si trova ancora attraverso l’analisi del nomen omen Prometheus. La radice del nome greco Pro-metheus è affine a math, meth, nucleo del verbo manthano, “so, apprendo, ho in mente”. Il prof. Khun afferma che il termine sanscrito manthami, passò nella lingua greca divenendo manthano cioè apprendere, appropriarsi di conoscenza, da cui la parola pro-metheia o preveggenza. Prometeo che ruba il fuoco della procreazione per donarlo agli uomini, è innegabilmente l’origine del suo nome in Pramantha.
La proposizione temporale pro, “prima”, conferisce al nome e alla figura il senso dell’anticipo, del presagire, del “conoscere ancora prima dell’accadere” e quindi anche la comprensione del senso e del fine ultimo delle azioni, dei fatti e delle cose. “Preveggente”, “previdente”, insomma e anche “provvido”, proprio in quanto preveggente. Pro-metheus può perciò essere tradotto con “Colui che prevede e provvede”.
Un’altra parola che contiene la radice math/meth, presente nel verbo greco manthano è methis. Nel mito greco, Methis è la madre di Athena, che personifica la Saggezza e la Giustizia divine. Methis è dea della Prima Generazione degli Dèi, figlia di Oceano e Teti. Il suo nome è di solito tradotto con “prudenza”, accortezza, a volte persino con astuzia. Nel mito, Athena, la Dea della Saggezza e della Sapienza Arcana, nasce da Methis e da Zeus in un modo assolutamente particolare che la pone in relazione con uno degli aspetti più significativi della vicenda prometeica: il dualismo presente nella coscienza umana. La Dea della Saggezza emerge, infatti, direttamente dalla testa di Zeus che, secondo il racconto di Esiodo, prima ingoia Methis la sua sposa incinta, nascondendola entro di sé, allo scopo di prevenire la nascita di un secondo figlio che lo avrebbe detronizzato, secondo il vaticinio di Urano e Gaia (Temi), fatto proprio anche da Prometeo.
Atena è la Dea della sapienza arcana e non è un caso che alla sua nascita assiste Prometeo. Nel suo dialogo Cratilo, Platone fornisce un'etimologia del nome di Atena che rappresenta il punto di vista degli antichi Ateniesi sostenendo che derivi da “A-theo-noa” (A-θεο-νόα) o “E-theo-noa” (H-θεο-νόα), che significa “la mente di Dio”, in quanto Atena era nata dalla mente di Zeus. Narra il mito che per poter far nascere Athena, Zeus si fa scindere il capo in due parti da un colpo d’ascia infertogli da Efesto (Apollodoro, Libro I – 3,6), il dio del Fuoco terrestre. Secondo un altro mito fu Prometeo alias Efesto a spaccare con un’ascia bipenne la testa di Zeus. Così balza fuori dalla testa di Zeus, Athena giovinetta già completamente formata dei suoi attributi simbolici: l’elmo, il giavellotto, l’ègida (lo scudo-corazza).
[8] G. de Santillana, Il Mulino di Amleto, p. 438-440, Adelphi.
[9] Il simbolo della croce gammata, della svastica era, conosciuto e utilizzato, anche se in modo circoscritto e non sistematico, dalle prime comunità cristiane. A questo proposito le raccolte delle iscrizioni paleocristiane di Roma, che formano il corpus delle Inscriptiones Christianae Urbis Romae septimo saeculo antiquiores (=ICUR), monumentale opera iniziata dal de Rossi e ripresa da Angelo Silvagni nel 1922 (la collana è giunta al X volume pubblicato nel 1992, mentre un XI volume è in preparazione), attestano che nell’Urbe tale iconografia ebbe il suo maggiore utilizzo.
[10] W. Wagner: Asgard and the Gods, pg. 305.
PROMETEO IL TITANO AMICO DEGLI UOMINI
La coppia di fratelli con caratteristiche opposte Prometeo-Epimeteo è il simbolo esoterico dell’umanità. Prometeo, l’astuto, “colui che prevede” ed Emipeteo, l’imprudente, “colui che impara dopo”, sembrano costituire originariamente, un Essere Doppio. All’inizio di ogni ciclo, in tutte le mitologie appaiono due fratelli a volte gemelli altre volte un essere doppio.
«Con acqua e terra Prometeo plasmò gli uomini e donò loro il fuoco che celò in una ferula, di nascosto da Zeus»11
Apollodoro descrive Prometeo che impasta argilla con acqua e con questa modella il corpo del primo uomo cui fornisce la scintilla di vita portata dalla Dea Atena, l’Intelligenza, che nelle raffigurazioni di tardi sarcofagi romani12, porta in dono una farfalla, che in greco si pronuncia psiche, anima. Ovidio13 narra che dopo Il Diluvio, Zeus ordinò a Prometeo e ad Atena di far nascere una nuova razza d’uomini da pantano lasciato dalle acque del cataclisma planetario.
FIGURA 6. PROMETEO PLASMA IL PRIMO UOMO, ANIMATO DA MINERVA (ATENA)14
Il sarcofago, datato al 300 d. C. e conservato ai Musei Capitolini mostra al centro, Prometeo, con barba e capelli lunghi, le gambe e la spalla sinistra coperte da un drappo ed il torso nudo, seduto mentre guarda la sua opera ultimata: una statuetta di forma umana, posata sulle ginocchia. Il Titano ha nella mano sinistra, quasi sospesa nell’atto di contemplazione, uno strumento per modellare l’argilla di cui è ricolmo un cesto ai suoi piedi. Di fronte si trova Atena Minerva, la dea della Sapienza, ornata di elmo, che posa una farfalla sulla testa dell’uomo non per animarlo fisicamente, ma per dargli un’anima, una coscienza divina. La dea è connotata attraverso i tradizionali attributi: la civetta, l’olivo, lo scudo e la lancia. All’estrema destra, Mercurio, nudo, con la clamide fermata sulla spalla destra ed i tradizionali petaso (copricapo) e caduceo, solleva con la mano destra una piccola Psiche con ali di farfalla. Alle spalle di Prometeo una figura femminile sdraiata a terra probabilmente Gea, con il ginocchio destro sollevato, il busto nudo e le gambe coperte da un drappo, tiene in mano una grande cornucopia aiutata da due Eroti. In secondo piano, tra Gea e Prometeo, le due Parche Cloto e Lachesi, la prima colta nell’atto di spiegare sulle proprie ginocchia il rotolo che contiene il destino primo uomo plasmato dal Titano; la seconda mentre con una bacchetta segna su di globo celeste il corso degli astri che ne segnano la vita. Al ciclo vitale di vita e morte corrispondono allegoricamente anche i carri del Sole e della Luna attraverso il loro ciclico alternarsi. Ancora più a sinistra è possibile riconoscere Oceano con un timone, anch’egli sdraiato, con il torso nudo e le gambe coperte da un drappo. Da una parte la nascita materiale adombrata dalla plasmazione dell’argilla da parte di Prometeo, dall’altra quella spirituale allusa dall’animazione operata da Minerva; le tre Parche poi alludono alla vita umana nel suo svolgersi fino al sopraggiungere della morte. Né in Esiodo, né in Eschilo Prometeo è il creatore degli uomini, o meglio non prende parte nella prima fase della creazione dell’uomo che era una semplice nascita dalla terra. L’essere formati dalla terra, esseri formati dal fango, era per i Greci un modo per dire che si discende tutti dalla dea della Terra, per questo Prometeo che secondo altri miti agisce con la dea della sapienza Atena, è descritto come plasmatore di uomini. Prometeo diviene un’altra manifestazione di Crono su un piano più basso o più denso della materia. L’Inno orfico a Kronos definisce Prometeo venerabile al contrario di quanto fa Esiodo che lo definisce un ribelle.
Padre dei Beati, nonché degli uomini ... forte Titano che tutto divori e di nuovo generi ... figlio di Gaia (Gea) e di Urano Stellato ... Venerabile Prometeo 15 .
Eschilo (525-456 a.C.)rappresentò il dramma di Prometeo in una trilogia, composta dalle tragedie: Prometeo Incatenato (Promethéus Desmótes), Prometeo Portatore del Fuoco (Promethéus Pyrphoros) Prometeo Liberato (Promethéus lyomenes).
In Prometeo Incatenato, il Titano viene descritto incatenato su una rupe deserta della Scizia dove, ogni giorno, l’aquila di Zeus si ciba del suo fegato, che ogni notte si riforma. Questo ingiusto tormento fa nascere una grande indignazione nell’animo di Prometeo, pronunciando contro Zeus oscure parole, nelle quali, fra l’altro, fa menzione di un segreto noto a lui solo, riguardante una non lontana caduta ignominiosa del padre celeste. Zeus udite le parole profetiche, invia Hermes da Prometeo perché lo obblighi a svelare quel nome di chi lo dovrebbe detronizzare. Il Titano però respinge sprezzantemente il dio, allora Zeus con un tremendo cataclisma fa sprofondare nelle viscere della terra la montagna cui il ribelle era incatenato. Passeranno molti millenni prima che Prometeo possa venire liberato.
Nel Prometeo Portatore del Fuoco, giunto a noi quasi integralmente, Eschilo definisce il ladro di Fuoco in modo obiettivo, al contrario di Esiodo senza bollarlo come peccatore. Secondo i frammenti che ci sono pervenuti e secondo antiche testimonianze, la scena si svolge ora sopra una roccia del Caucaso, su cui riappare ritornato alla luce, Prometeo sempre avvinto in catene. Molte cose nel mondo sono cambiate, durante il lungo forzato soggiorno nelle viscere della terra. I Titani, suoi consanguinei, hanno riacquistato la libertà per un atto di clemenza da parte di Zeus. Essi fanno visita a Prometeo, ed in un altro episodio compare Eracle che uccide con il suo infallibile arco e una freccia avvelenata l’aquila intenta a cibarsi del fegato di Prometeo, che riacquista in tal modo la propria libertà La sua liberazione viene ufficialmente proclamata, nell’epilogo, dal dio Hermes. Ercole nei miti migratori rappresenta un popolo che si sposta alla ricerca di una terra promessa. Ercole giunse in Tracia e in Scizia, dove fu venerato come Ercole Scita, l’Arciere. Prometeo, che rappresenta la Generazione che sopravvisse al Diluvio, secondo Luciano era anch’egli Scita. I due miti sono in qualche modo collegati fra loro.
Il terzo dramma, Prometeo Liberato conteneva verosimilmente il racconto dell’avvenuta liberazione, della riconciliazione di Prometeo con i nuovi Dèi e della loro accoglienza al titano liberato, assunto nell’Olimpo. Della terza tragedia sono rimasti una decina di frammenti, il più importante dei quali è stato tradotto in latino da Cicerone in una delle sue Questioni Tuscolane. Nell’ultima parte, il poeta tratta di argomenti propri dei Misteri del culto prometeico nell’Attica. Al corpo di Prometeo legato alla rupe aspra e solitaria del Caucaso, Eschilo affida la scena iniziale del Prometeo Incatenato sul Monte Kajbee del Caucaso, e l’incipit del Prometeo Liberato su cui riappare, sempre avvinto in catene. Nella terza tragedia il poeta tratta di argomenti propri dei Misteri del culto prometeico nell’Attica. La liberazione si completerà solo quando un altro personaggio divino, il centauro Chirone, inavvertitamente ferito da una freccia di Ercole e soffrendo incessantemente – pur desiderando di morire e non potendolo essendo di natura immortale – cederà la propria prerogativa divina a Prometeo che, nato mortale, accetta questo scambio, divenendo immortale, mentre Chirone si sostituisce al Titano nel sacrificio. Questo scambio Prometeo Chirone nasconde un altro mistero riguardante l’Anima umana simboleggiato dall’acquisizione dell’immortalità da parte di Prometeo quale rappresentante dell’umanità. Alla fine Zeus accetta la liberazione e l’immortalità di Prometeo ottenuta attraverso uno scambio, anche perché nel mito eschileo, Prometeo gli ha rivelato un antichissimo oracolo, secondo il quale il bambino, sarebbe divenuto più potente di lui e, fattosi adulto, lo avrebbe detronizzato. Ciò vuol dire che un nuovo ciclo, una nuova era. La liberazione del Titano viene ufficialmente proclamata, nell’epilogo del Prometeo Liberato, dal dio Hermes. Nelle opere di Eschilo, Prometeo è descritto come un Titano, che equivale mistericamente ad un Kabiro. Alla fine della prima guerra titanica, l’umanità, la Terza Generazione, veniva nel Prometeo Incatenato, così descritta:
Vedendo, ei non vedevano; non udivano udendo; e quanto lunga era la loro vita, simili e labili forme di sogno, confondevan, ciechi, tutte le cose
sotto terra abitavano come formiche ... ove il sole non giunge.16
Ci viene descritta un’umanità priva di sensi e di mente, degli uomini-formiche un fallimento per Zeus il suo creatore, che pertanto voleva annientarla per sostituirla con una nuova Razza o Generazione17. Un frammento orfico descrive così gli uomini:
”E le stirpi inutili dei mortali, peso per la terra, vane figure che non sanno nulla di nulla e non sono abbastanza intelligenti da avvertire il male che si avvicina… “.
Prometeo osò sfidare il progetto di Zeus rubando il Fuoco Sacro, l’elemento primordiale capace di dare la vita trasmettendola nel tempo e nello spazio. Per tale motivo egli fu punito dagli Dèi. Prometeo si rammarica dell’ingratitudine umana, il suo destino è quello dei “Figli della Fiamma di Saggezza”, personificati dai greci in Prometeo, possono rimanere sconosciuti e non ricevere gratitudine nell’ingiustizia del cuore umano. Per la nostra ignoranza della verità, i nostri Salvatori possono essere anche indirettamente maledetti per il dono di Pandora, e per essersi ribellati al capo degli Dèi vengono talvolta descritti come demoniaci. Quando Zeus decise di sterminare l’inutile genere umano solo Prometeo si oppose a tale decisione, donando loro il Fuoco.
La terrena progenie io solo ho salvato Dallo sterminio nel profondo Ade. Per tale colpa, ora mi struggo in pene aspre a patire, misere a vedere. (Prometeo Incatenato, 230) … Coro: Elargisti ai mortali un bene sommo. Prometeo: Ed a essi il fuoco, inoltre, io dispensai. Coro: Il fuoco, occhio di fiamma, ora posseggono? Prometeo: E molte arti dal fuoco apprenderanno. (248-2519)
Nel Prometeo Incatenato, il Titano dichiara che fino allora gli uomini agivano in tutto senza discernimento. Fino a che indicai loro il sorgere e il sorgere e il tramontare degli astri, difficili da stabilire; quindi per loro ritrovai la scienza dei numeri, base di ogni dottrina, e l’accoppiamento delle lettere che serba il ricordo d’ogni cosa ed è madre alle Muse. Ninfe del Cielo: fonte di tutte le arti e le scienze ai viventi è Prometeo! Eschilo descrive Prometeo come un benefattore a differenza di Esiodo che ne fa un ribelle. Prometeo insegnò da buon Kabiro ai mortali le arti dei numeri, della scrittura divenendo così il loro Istruttore.
Questa idea della potenza matrice del fuoco è spiegata ... dall’antica identificazione dell’anima umana con una scintilla celeste.18 Avendo il fuoco la sua sede in cielo, e là che egli deve essere andato a cercarlo prima di poterlo portare giù agli uomini, e per avvicinarsi agli Dèi, deve essere stato un Dio egli stesso.19
Ecco il significato dell’allegoria di Prometeo, che ruba il fuoco divino per consentire agli uomini di progredire coscientemente sul sentiero dell’evoluzione spirituale, trasformando così il più perfetto degli animali della terra in un Dio potenziale. Kerényi (Miti e Misteri), scrive che l’uomo, anthropos, è colui che ha la “faccia di brace”. Gli orfici invocavano i Titani come antenati sotterranei del genere umano (Orphei Hymni 37, 2). I Titani sono maestri del Fuoco.
Ad Atene, nel quartiere dell’Accademia, un altare molto venerato sul quale bruciava la fiamma sacra a Prometeo, dio del Fuoco; e da questo altare prendeva inizio, secondo un’antica consuetudine, durante le feste “Prometheia”, la corsa alle fiaccole (lampadedromia), nella quale giovani ateniesi, dopo avere acceso le fiaccole all’ara del dio, portavano, gareggiando nella corsa e scambiandosi a vicenda le fiaccole. Portavano il Fuoco Sacro attraverso il quartiere del Ceramico verso la città, dove poi la fiaccola vincitrice riceveva l’onore di accendere il Fuoco sulle are di altre divinità. Oltre che ad Atene il culto di Prometeo esisteva anche a Tebe, dove era considerato un Kabiro, a Panopeo nella Focide e ad Opunte nella Locride. Foroneo è un altro personaggio mitologico misterioso, le cui leggende presentano notevoli analogie con quelle di Prometeo figlio del Titano Giapeto. Prometeo apparteneva a quella razza dei Titani che si erano ribellati a Zeus e precipitati nel Tartaro, ma a differenza del padre Giapeto egli non aveva partecipato alla guerra titanica. Si dice che Foroneo fu il primo a scoprire l’uso del Fuoco dopo che Prometeo l’ebbe rubato agli Dèi. Non è solo il fuoco dovuto alla caduta del fulmine, che incendia qualcosa di combustibile, rivelando così tutti i suoi benefici preziosi agli uomini paleolitici, ma il mito nasconde qualcosa di più misterioso, sebbene, ancora terrestre!
Platone nomina Foroneo e Niobe come i “primi uomini” vissuti prima del Diluvio di Deucalione. La mitologia greca ricorda un primo diluvio avvenuto al tempo di Ogige un antichissimo re della Beozia, nipote di Poseidone, il Dio dell’Oceano. La Beozia, regno del nipote dell’Oceano, era pure chiamata Ogigia, nome dato all’isola cui approdò in seguito Ulisse. Quest’isola è descritta da Omero come l’ombelico del mare, isola dove regna Crono, il Re dell’Età dell’Oro. Il continente inabissatosi in seguito alla guerra di Zeus e dei suoi alleati contro Crono è appunto l’Ogigia.
FIGURA 7. KÝLIX DI ARKESILAS ATLANTE E PROMETEO
Tra le produzioni di ceramica greca figurata che raggiunsero l’Etruria, si contraddistingue la ceramica laconica, una kýlix (coppa) ritrovata a Cerveteri e fabbricata a Sparta poco prima della metà del VI secolo a.C. e attribuita al Pittore di Arkesilas, conservata nei Musei Vaticani, sezione Gregoriana Etrusca. Sulla coppa si osserva a sinistra Atlante, barbato, che piega le ginocchia sotto il peso della volta celeste punteggiata di stelle che deve sostenere. Alla sua condanna si associa quella di suo fratello Prometeo, colpevole di aver donato il Fuoco agli uomini, anch’esso piegato sulle ginocchia e sottoposto a un supplizio perpetuo: un’aquila che si ciba del suo fegato (sede delle emozioni e dei desideri) che ogni notte ricresce per essere di nuovo mangiato. Il risultato del “furto del Fuoco della Creazione” fu che l’avvoltoio del desiderio sempre insoddisfatto, dilaniasse in continuazione il corpo di Prometeo.
Il piano lineare su cui poggiano i piedi i due Titani, simboleggia la Terra, poggia su un’imponente colonna dorica simbolo dell’asse cosmico, dalla quale si dipartono due boccioli di loto stilizzati che rappresentano la dualità e le due energie della manifestazione. Prometeo è legato a una colonna e poiché questa appoggia sulla colonna maggiore o portante, rappresenta l’asse del mondo terrestre. Il serpente sulla sinistra dietro Atlante costituisce un riferimento alla sfera delle forze vulcaniche. Le sette spirali del serpente simboleggiano la natura settenaria della manifestazione, cioè i periodi durante i quali si manifestano le Sette Razze cioè Generazioni, attualmente secondo Esiodo e secondo la tradizione orientale siamo la Quinta Razza.
Il nome di Prometeo è stato associato al furto del Fuoco Sacro, egli dona il Fuoco della Creazione e della conoscenza agli uomini. Egli non solo accende la scintilla della vita negli uomini di argilla, ma gli insegna i misteri della creazione, che nella caduta sono utilizzati per scopi sensuali ed egoistici. Prometeo, dotò l’uomo, di quella “intelligenza che procura il benessere fisico”. Lo sviluppo completo dell’intelligenza e della mente è lo scopo della Quinta generazione o Razza, mentre lo sviluppo completo dell’apparato emozionale era lo scopo della Generazione precedente, la Quarta. Prometeo rubò il Fuoco agli Dèi per portarlo agli uomini per dotarli del principio creativo. Gli uomini anziché usare il Fuoco per creare con la mente, divenendo così esseri pensanti, lo usarono per continuare a soddisfare i loro desideri di potere.
L’insaziabilità inquieta delle passioni e dei desideri inferiori, che con prepotente insolenza lanciano una sfida alle restrizioni della Legge.
Il libero arbitrio portò il genere umano alla ricerca della soddisfazione dei loro desideri sessuali, il corpo umano divenne così l’organo del solo appagamento sessuale. Il mito afferma, sebbene in modo occulto, che gli uomini pervertirono l’istinto di procreazione. Una raffigurazione attribuita al pittore Dino su un cratere attico a calice, a figure rosse, databile al 420 a.C. e conservato ad Oxford, all’Ashmolean Museum, mostra il Titano dalla riccia capigliatura fermata da uno strophion (fascia), vestito di un chitone che gli lascia scoperta la spalla sinistra. Prometeo stringe con entrambi le mani il lungo nartece, con una caratteristica terminazione a coppa. Tre satiri danzano intorno a Prometeo. Nel Prometeo Portatore del Fuoco di Eschilo, un coro di Satiri accoglie con danze festose il dono di Prometeo destinato agli uomini: “La benigna gratitudine m’invita a danzare. Getta il tuo splendido mantello presso l’instancabile vampa del fuoco”. Una simile rappresentazione si trova su un cratere a campana conservato a Lipari, Museo Eoliano. Nel registro inferiore del vaso ΠPOM[H]θ[EϒΣ] Prometeis, barbato e con uno strophion attorno al capo, trasmette il fuoco ai tre satiri KΩMOΩ,
ΣIK[I]NNIΣ e ΣMOΣ (Komos, Simos e Sikinnis), come indicano le iscrizioni da sinistra a destra. Il Titano regge il lungo nartece con il tipico apice a coppa, da cui esce una fiamma, e lo incrocia formando una X con la fiaccola del satiro.
FIGURA 8. PROMETEO CON IL NARTHEX PITTORE DINO – PROMETEO E SATIRI CRATERE CAMPANA LIPARI, MUSEO EOLIANO
Tra il 440 e il 400 a.C. la ceramica attica accoglie l’immagine di Prometeo che dona il fuoco ai satiri. Prometeo Fuoco e Satiri questo è argomento che veniva svelato durante i Misteri. Vasi attici di diversa tipologia (cratere, stamnos, dinos, lekanis), rinvenuti in Attica, nell’Etruria padana, nel Piceno, in Magna Grecia e in Sicilia, mostrano l’immagine di Prometeo con narteci o con torce, in compagnia dei satiri.
K. Kerényi scrive che simili esseri – originariamente certo uomini che in danze e cortei rappresentavano i fallici compagni della Grande Dea – venivano detti in un dialetto dell’antico Peloponneso Satyroi, cioè «i pieni», un termine che si riferiva al loro stato eroticamente eccitato e traboccante. Questa era la loro denominazione completa. «Caproni» nelle stesse funzioni, uomini vestiti di pelle di capra o – nei racconti e nelle raffigurazioni – divini compagni di gioco delle Ninfe, similmente configurati, si chiamavano pure Satiri. Nei misteri Dionisiaci abbiamo sempre la presenza o rappresentazione di Satiri. Che Dioniso sia così strettamente associato ai Satiri è però ben presente nella pittura vascolare del IV secolo a.C. In almeno un caso compare come compagno di lotta di Dioniso un satiro, le cui armi sono per inciso due torce, attributi di culto misterico.
Satiri e Sileni sono due categorie di esseri mitici, spesso difficilmente distinguibili gli uni dagli altri, considerati personificazioni dei poteri e delle forze vitali e fecondatrici della natura. La potenza generativa, la forza dell’istinto e del desiderio. I satiri, gli eros, le panische, le ninfe e le altre figure del corteo dionisiaco altro non sono se non oggettivazioni delle sorgenti prime e inaccessibili degli istinti umani, sorgenti divine e sacre alle cui acque l’iniziato, disceso in se stesso, doveva riuscire ad attingere per rigenerarsi e trasformarsi.
Nel Prometeo Incatenato, il Titano dichiara che prima di lui l’uomo si muoveva in una condizione di ferinità in grotte e agiva privo di cognizione, di consapevolezza, senza discernimento. Il suo dono del fuoco agli uomini racchiude simbolicamente l’elargizione di quelle capacità e conoscenze che segnano la distanza tra il modo di vivere umano e animale. Attraverso il dono del fuoco ai satiri, espressione di un’umanità intermedia tra dimensione bestiale e divina, viene reso possibile un mutamento, consentito anche dal legame dei satiri con il dio delle trasformazioni Dioniso, dalla condizione irrazionale allo stadio cosciente. Prometeo appare come un portatore di fuoco mascherato in modo dionisiaco, lo stelo di quella pianta serviva da tirso alle baccanti.
La fiaccola il narthex diviene lo strumento che propaga il fuoco e permette lo sviluppo della civiltà: Prometeo narthekophoros è raffigurato nelle vesti di colui che “insegna” ai satiri l’uso del fuoco.
La più interessante immagine riconducibile a Prometeo è senza dubbio quella sul fondo di una coppa attica a figure rosse attribuita a Douris (480-470 a.C.), Parigi, Gabinetto dei Medici (proveniente da Vulci). La coppa di Douris (Δοῦρις) è stata rinvenuta a Vulci dove, qualche anno dopo, il Titano compare su uno specchio etrusco con il nome di Prumathe, liberato da Calanice-Heracle e dal Dioscuro Castur cioè Castore. ΠΡΟΜΕθΕΣ Prometes, recita l’iscrizione dietro il Titano, posta con eleganza lungo la curvatura del tondo – appare in una figura inusuale: ammantato, regge un lungo scettro nella mano destra che è identico a quello di HPA (Hera), tranne per il doppio loto a quattro petali, simbolo di generazione duale, a quello della sua anomala compagna, la dea madre Hera. Questa scena ascrivibile a un orizzonte sacro, costituisce un esemplare unico nel panorama figurativo relativo alle storie di Prometeo in quanto accosta il Titano, riconoscibile in maniera certa da un’iscrizione, barbuto, coronato di lygos, ad Hera, anch’essa accompagnata da un’iscrizione.
FIGURA 9. COPPA ATTICA CON PROMETEO ED HERA ATTRIBUITA A DOURIS
Vi è un legame tra Era e Prometeo. Di esso abbiamo testimonianza solo in una fonte ellenistica, il poeta Euforione che parla della violenza subita dalla dea da parte del Gigante Eurimedonte e della conseguente nascita di Prometeo. Nella coppa Hera appare come madre Kabirica di Prometeo, oltre che di Efesto. Tra la Dea e Prometeo c’è un rapporto diretto e rituale incentrato sul gesto di offerta della coppa per libagioni, che si trova esattamente nel cuore del tondo ed è enfatizzata dall’incrocio dei due scettri che formano una X. Prometeo in questa raffigurazione è in procinto di vedere riconosciuto il suo riconquistato status di divinità, segnalato dalla corona dopo la liberazione per opera di Heracle.
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11 Apollodoro, I, 7, 1.
12 K. Kerényi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia, Vol.1, p.198, Garzanti.
13 Ovidio, Metamorfosi, I, 81.
14 http://www.iconos.it/le-metamorfosi-di-ovidio/libro-i/prometeo/immagini/15-prometeo/
15 Inni Orfici, n.13
16 Prometeo Incatenato, 444 e segg., traduzione poetica di Vincenzo Errante.
17 Prometeo Incatenato, 227 e segg. In Eschilo la decisione di Zeus non appare motivata. In Opere e Giorni, Esiodo precisa che gli Dèi per quattro volte distrussero la razza umana, pertanto la decisione di distruggere una quinta volta la stirpe degli uomini era prematura ed è solo rinviata.
18 Decharme, Mythologie de la Grèce Antique, p. 264-65
19 Decharme, Mythologie de la Grèce Antique, p. 259.
PROMETEO KABIRO
Nella trilogia degli Argonauti, Eschilo dedica un’intera tragedia agli esseri primordiali di Lemno, sotto il titolo di Kabeiroi. Era una tragedia sotto il segno della potenza dionisiaca in cui gli Eroi di Giasone apparivano sulla scena ubriachi. Il vino, sangue della Terra, induce alla procreazione, alla possessione, alla convivialità, alla sensualità e alla perdita delle inibizioni. Il bere vino facilitava insomma l’insorgere della mania nei posseduti da Dioniso e metteva in moto, scatenava, un aspetto dell’istintualità. Le modalità di preparazione della bevanda, dalla danza arcaica dei pigiatori d’uva, mascherati da Satiri e Sileni, rappresentazione degli istinti che trasmutano l’energia vitale contenuta nel sangue, ai processi di fermentazione e maturazione del vino che "sente" la primavera e ribolle nelle anfore e nei tini, perfezionandosi per opera del fuoco celeste che lo anima. Nel mito ebraico Noè dopo aver galleggiato con l’Arca sulle acque del Diluvio dopo essere sceso sulla terra asciutta piantò la vite, fece il vino e si ubriacò. Noè è il simbolo dello Spirito che cade nella Materia; e piantare una vigna, fare il vino, berne fino ad ubriacarsi, significa solo che lo Spirito, sempre più imprigionato nella materia, ne rimane intossicato.
I miti più antichi parlano di un titano detto Ithax e soprannominato ‘Prometeo’ ossia il ‘preveggente’ — Pro-me-thais, ‘colui che vede innanzi a sé’, cioè nel futuro. Itthake e Ithakanos sono i nomi dell’isola di Odisseo il cui carattere era simile a Prometeo. K. Kerényi scrive in Miti e Misteri, che gli incisori di monete raffigurano in modo sorprendentemente simile le teste di questi due personaggi, entrambi portano il berretto a punta di Efesto e dei Kabiri.
FIGURA 10. MONETA D’ORO TESTA DI KABIRO BARBUTO - MYSIA. LAMPSACUS. CIRCA. 394-350 A.C.
Secondo Pausania, Demetra Kabeiraia portò a Prometeo e a suo figlio Efesto (entrambi Kabiri) i Misteri. Efesto avrebbe generato altri Kabiri che perciò sarebbero stati chiamati Efesti, che come lui portavano il martello del fabbro. Ad essi è attribuita l’invenzione delle lettere, delle leggi, dell’architettura. Sono state rinvenute immagini con giovani che indossano il tipico copricapo, il pilos, dei Dioscuri, anch’essi Kabiri. Ai Kabiri (Κάβειροι), Diodoro attribuisce l’invenzione dei fuoco e l’arte di lavorare il ferro. Pausania dice che la divinità kabirica originale era Prometeo. In India il loro nome è Agni-Putra, Figli del Fuoco. Il culto dei Kabiri il cui ricordo si perde nella notte dei tempi, era legato ai Fuochi Sacri e alle grandi energie vulcaniche, i loro templi erano sempre costruiti in località vulcaniche. Infatti, Kabeiros significa potente per mezzo del Fuoco. Secondo Pindaro, Adamas era il nome del Kabiro: uno dei sette tipi di progenitori del genere umano, l’archetipo di tutti i maschi, il tipo dell’uomo primitivo nato dalla terra.
La tradizione maggiormente nota narra che Prometeo dopo aver rubato έκλεψε il Fuoco, lo portò via “εν κοίλω νάρθηκι”, nella cavità di uno stelo di ferula, un narthex (nartece), la bacchetta del candidato all'iniziazione presso gli Egizi. Con questo nome, in Grecia, si indicava la ferula portata dalle Baccanti. Secondo un’altra tradizione kabirica, Prometeo avrebbe sottratto il Fuoco dalla fucina di Efesto, nell’isola di Lemno, la patria degli Ephaistoi, i ‘figli di Efesto’ e soprattutto dei Kabiri con il culto e l’iniziazione misterici dedicati a questi Dèi primordiali.
Cicerone, parlando del furto del Fuoco compiuto da Prometeo lo definisce come il “furto di Lemno”. Luogo di scena dell’avvenimento sarebbe stato dunque, in Eschilo, l’isola kabirica di Lemno. Il riferimento di Lemno doveva far pensare al cratere Mosychlos, nella parte settentrionale dell’isola, nella sfera cioè di Efesto, il dio kabirico che aveva il suo santuario e la città Hephaestia. In Omero (Iliade, 1, 592-4) Efesto stesso racconta il mitologema, come Zeus l’abbia gettato sull’isola di Lemno dalla cerchia degli Dèi olimpici. Pausania20 dice che la divinità kabirica originale era Prometeo. In tutti i luoghi, dove si trovi traccia del culto di Prometeo, e in particolare in Beozia nella vicina Focide nell’Attica in Sicione in Lemno e nel Caucaso, si manifestarono fenomeni di vulcanismo. Il culto dei Kabiri era indissolubilmente legato al Fuoco Sacro.
FIGURA 11. EFESTO (VULCANO) NELLA FUCINA CON I CICLOPI - MUSEI CAPITOLINI
Il fianco sinistro di un sarcofago conservato ai Musei Capitolini, datato al III sec. d. C., raffigura Efesto (Vulcano) al lavoro all’interno della propria fucina, aiutato dai Ciclopi – la stessa scena si trova sulla fronte di un sarcofago conservato al Louvre. Vulcano, vestito di una sorta di perizoma, occupa lo spigolo del sarcofago ed è colto nell’atto di lavorare il metallo con il martello, probabilmente di realizzare le catene necessarie al supplizio del Titano; intorno a lui, i Ciclopi lo aiutano con il martello o alimentando il fuoco acceso. L’importanza della scena è data dalla presenza di un fuoco vivo che ricorda il furto di Prometeo. Il Fuoco rappresenta la scintilla divina che risiede nell’uomo sotto forma dell’anima, ma è anche lo spirito vivificante, lo Pneuma, che anima l’universo.
Sulla sinistra del rilievo, si trovano, accanto ad un albero, un uomo ed una donna, le mani a coprirsi il ventre: potrebbe trattarsi della prima coppia creata da Prometeo oppure di Adamo ed Eva, il gesto delle mani connesso con il peccato originale a seguito del quale i progenitori percepirono la propria nudità. Il Fuoco rubato serve, infatti, a rendere gli uomini simili agli Dèi, proprio come il frutto dell’Albero (della Vita) sulla sinistra21.
I Kabiri chiamati i Grandi Dei, i Potenti, che exotericamente sono in numero di Quattro, ma mistericamente o esotericamente sono Sette in tutto. Attraverso una tradizione risalente almeno a Dionisodoro ed a Mnasea di Patara, sappiamo che nell’isola di Samotracia, durante la celebrazione dei Misteri, i Kabiri venivano invocati con i nomi di Axieros (Demetra), Axiokersa (Persefone), Axiokersos (Ades) e Cadmilos (Ermete). Cadmilos, l’ultimo dei quattro era il più elevato era rappresentato con un cubo a sei facce che sviluppato diventa una croce di tre e di quattro facce, sette in tutto. Il significato occulto del numero Sette e dei Sette Kabiri, implica la generazione fisica, infatti, la parola sesso, in origine era “ax”, poi con il passare del tempo divenne sex e se diamo un nome aspirato ad uno dei Kabiri, ad esempio Axierox, lo pronunciamo Sexieros. Il nome di una compagna di Prometeo era Axiothea che la mette in rapporto con i nomi conosciuti dei Kabiri. I Kabiri erano dunque di due sessi, a Tebe le Kabirie avevano un santuario, mentre a Menfi lo avevano i Kabiri. A Lemno si parlava di Tre Kabirie figlie della Grande Madre e del Kabiro suo sposo. Le Tre Kabirie avevano come mariti Tre fratelli Kabiri, Sei in tutto, tre coppie.
Nel mito della fondazione del santuario kabirico presso Tebe si raccontava che in quella regione anticamente ci fosse una città abitata da uomini kabirici, ad uno di questi antichi, Prometeo, e a suo figlio Aitnaios, Etneo o Efesto, Demetra portò loro i Misteri22. Egli avrebbe generato altri Kabiri che perciò sarebbero stati chiamati Efesti, che come lui portavano il martello del fabbro. Ad essi è attribuita l’invenzione delle lettere, delle leggi, dell’architettura. Essi sono il prototipo dell’umanità noti anche sotto il nome di Manu, Mani o Lari, Lars in etrusco, e significa conduttore, guida. Pausania scrive di non poter tradire dicendo chi erano veramente i Kabiri. Prometeo che fra i Titani appare un figlio, una figura di secondo piano, qui appare come un Padre, il più venerabile fra tutti i Kabiri. I Misteri celebrati in Samotracia in loro onore erano noti come Misteri del Fuoco Sacro, I Fuoco Creatore. La parola Kabiro ha come radice kab che significa misura, Kab-urim, significa misura dei cieli. I Kabiri erano anche la misura dei Cieli. Gli dèi maschili e femminili vennero in seguito ridotti a due, una coppia, i misteriosi Dioscuri, Castore e Pulluce. In Samotracia ai lati del santuario, vi erano le statue dei Due Fratelli. Erodoto scrisse (Thalia, LXXVII) che quando Cambise entrò nel tempio dei Kabiri esplose in una risata vedendo la statua di un uomo in piedi e di una donna in equilibrio sulla testa: egli non comprese il simbolo dei Due Poli. Il fatto che i Titani-Kabirim fossero anche, astronomicamente, i Generatori e i Regolatori delle stagioni, e, cosmicamente, le grandi Energie Vulcaniche — gli Dèi preposti a tutti i metalli e i lavori terrestri — non impedisce loro di essere, nell’originale carattere divino, le Entità benigne, che, simbolizzate in Prometeo, portarono la luce al mondo e dotarono l’umanità di intelletto e ragione. Essi soprattutto sono, in ogni Teogonia, specialmente in quella indù, i Fuochi Sacri Divini; Tre, Sette.
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20 I, IX, 751.
21 http://www.iconos.it/le-metamorfosi-di-ovidio/libro-i/prometeo/immagini/17-prometeo/ Commento di Silvia Trisciuzzi.
22 L’uomo proviene dalla terra, fatto di fango come conferma la Bibbia, ma diventa uomo solo nella seconda fase della sua creazione, per mezzo del perfezionamento nel segno di Demetra e di Prometeo.
PROMETEO PADRE DELLE TRE GENERAZIONI FISICHE
Nella Teogonia di Esiodo il Titano Prometeo istituisce a Mekone il sacrificio primordiale del Toro ucciso alla fondazione del mondo dei mortali, quel tempo è riferito alla Terza Generazione. Dopo il furto del Fuoco, secondo Esiodo, il Titano è legato ad un palo (asse del mondo) e secondo Eschilo a una roccia sul sui monti del Caucaso. Da questo punto in avanti le vicende di Prometeo, di Niobe e degli Eroi appartengono alla Quarta Generazione del Bronzo, il cui annientamento da parte di Zeus tramite un diluvio è narrato nei Cipria.
Della Quinta Generazione, l’attuale, Esiodo non poteva fare altro che lamentarsi. Quando Zeus volle distruggere la Quarta Generazione, seguendo il suggerimento di Prometeo, Deucalione suo figlio, costruì un’Arca e vi entrò con la moglie, Pirra la fulva, figlia di Pandora ed Epimeteo. Per nove giorni e nove notti l’arca galleggiò sulle acque del diluvio per poi approdare al decimo giorno sul Monte Parnaso (simbolo dell’asse del mondo o Monte Meru), che sovrasta Delfi, noto ai Greci come l’ombelico del mondo. Deucalione è il Noè della Grecia. Virgilio alla Sesta Ecogla versi 41-42 si esprime così:
Poi narra le pietre scagliate da Pirra, i regni saturni, gli uccelli del Caucaso e il furto di Prometeo.
Marco Servio Onorato commentatore di Virgilio commenta: “Prometeo fu un uomo di grande saggezza e previdenza, per cui egli fu chiamato Prometeo, cioè da provvidenza”. Previdenza e Provvidenza erano titolo della dea Minerva o Atena. Prometeo ebbe grande amicizia con Atena-Minerva dea della sapienza Arcana alla cui nascita dalla testa di Zeus egli poté assistere, e partecipare insieme ad Efesto Vulcano spaccando con un’ascia sacra la testa a Zeus.
Ovidio23 narra che così iniziò l’attuale era, l’Età del Ferro; il poeta24 spiega che dopo il Diluvio, Zeus ordinò a Prometeo e ad Atena di far nascere una nuova razza d’uomini dal pantano lasciato dalle acque del Diluvio. Prometeo è spesso raffigurato mentre impasta l’argilla per formare gli uomini, quelli della Quinta Generazione. La comparsa dei continenti, delle terre e delle razze di uomini è descritta in modo velato dai vari miti. I continui rapimenti di belle fanciulle da parte di Zeus stanno a significare la creazione di nuove generazioni simboleggiate dai figli fatti nascere dal potere fecondatore. La nascita del Quinto Continente dimora della Quinta Generazione o Razza Madre indicato dagli antichi greci col nome di Europa, è narrata dalla tradizione greca nei miti che riguardato la bella Europa, amata e fecondata (come una terra) da Zeus.
Secondo la Tradizione Arcaica orientale, le Dwipa, i continenti apparsi sulla Terra fino ad oggi sono Cinque e ognuno porta con sé una nuova generazione di uomini. I cinque Dwipa sono: la Terra Sacra Imperitura (abitata dalla Prima Razza Madre), l’Iperboreo (Seconda Razza Madre), la Lemuria (Terza Razza Madre), l’Atlantide (Quarta Razza Madre), l’Europa (Quinta Razza Madre).
Il termine Europa era utilizzato dai geografi per designare l’estremità occidentale del continente eurasiatico. Le steppe dell'attuale Russia, il paese degli Sciti nell'antichità, il Bosforo Cimmerio e gli altipiani, che separano l’Anatolia dalle valli dell'Eufrate e del Tigri, sono zone, in cui l’Europa emerge dall’Asia. La conoscenza geografica degli antichi Greci, velata nei miti di Adone, Apollo, ecc. è apparentemente resa comprensibile sotto una forma diversa da quella degli Indù, in realtà entrambe provengono dalla stessa fonte.
Nei racconti mitici: “Ogni donna è una terra o una città … ogni uomo e patriarca, una razza o una suddivisione di una razza”.
Cosa nasconde il mito greco della bella Europa figlia di Agenore e rapita da Zeus sotto forma di Toro? Quel’era la genealogia di Europa e cosa centra con Prometeo? Nel Prometeo Incatenato alla sezione terza entra sulla scena “Io” la figlia di Inaco, una fanciulla, con due piccole corna di vacca sulla fronte, correndo e agitandosi. incontra incatenato sui monti del Caucaso Prometeo, il “datore del Fuoco e della Luce”, che è condannato a soffrire la tortura.
Quale terra è questa? Che popolo? Chi è colui che vedo in catene, incatenato su rupi, in balie delle tempeste? (562)
Sia Prometeo che la giovane “Io” soffrono a causa di Zeus, e il Titano profetizza alla giovane che anche Zeus dovrà sottostare ai decreti del Fato triforme:
Né scampo v’ha — per lui! — da un tal destino.
Ordina che tali sofferenze durino solo fino al giorno che non sia nato un figlio di Zeus:
Si, generando un figlio più forte di suo padre (787)
Eschilo poi descrive l’incontro di Prometeo con “Io, in greco Ἰώ la figlia di Inaco e Melia la personificazione del Frassino, simbolo della Terza Generazione. Zeus, il potere fecondatore, innamoratosi di Io la figlia di Inaco e sorella di Foroneo, si unisce a lei e per non farsi scorgere da Hera, la gelosa consorte, narra il mito, mutò il giorno in notte. Lo scambio del giorno con la notte equivale ad un capovolgimento ad un’inversione dell’asse polare con il conseguente annientamento di razze e popoli, in altre parole la distruzione della civiltà, e l’inabissamento di vecchie terre e l’emersione di nuove terre.
“Io” fu trasformata in vacca da Zeus e perseguitata da Hera. Le corna di vacca sulla testa di Io sono il simbolo della falce lunare, in questo mito appare come la Luna, Isis (Iside), cioè la Grande Madre, e allo stesso tempo l’Eva di una nuova razza, ed altrettanto Demetra. Eschilo a differenza del mito che la vuole interamente mucca, descrive la figlia di Inaco come una giovinetta che ha due brevi corna su la fronte. La successiva Generazione che doveva ripopolare il mondo era affidata a Io e alla sua discendenza. Hera la gelosa moglie di Zeus ha un nome che fornisce un’informazione importante. Hera, il cui nome indica un periodo di tempo lungo, fu secondo alcune versioni allevata dalle Ore, identificate con lo scorrere del tempo. La gelosia di Hera è la maschera dell’implacabilità dello scorrere del tempo che induce a fare per poi distruggere le opere compiute.
Un discendente tuo [di Io] dev’esser lui (791)
Questo “Figlio” l’Epafo nero, libererà Prometeo, cioè l’umanità sofferente, dal suo stesso dono fatale. Il suo nome è “Colui che ha da venire”. Eschilo per bocca di Prometeo ci informa che, fermatasi in Egitto, sarebbe rimasta incinta al solo tocco della mano di Zeus e che in quel frangente avrebbe ripreso la forma originaria. Dove nascerà il discendente di Io? Prometeo lo rintraccia alla sua origine e luogo di nascita, nella sua profezia ad Io. Il Titano crocefisso le traccia l’itinerario del pellegrinaggio (della razza) con tutta la chiarezza permessa dalle parole.
Io ... trasformata in una vacca … veniva custodita da Argo25 dai molti occhi: tuttavia Zeus l’amò in forma di Toro. Era allora la fece inseguire da un tafano, dalla regione Greca di Argo fino in Egitto. Colà Io partorì a Zeus il figlio Epafo26 che si affermava pure che non fosse altro che il Toro divino egiziano Apis. Si affermava pure che Io fosse identica a Iside degli Egiziani e che questa grande Dea si fosse trasformata in una giovenca di tre colori...27.
Io dalle corna di vacca è la Luna, il potere generatore, Iside, la Dea Vach degli Indù descritta nel Rig-Veda come la vacca melodiosa, dalla quale discende l’umanità. La vacca, la Luna, sono simboli del potere generatore femminile, pertanto IO trasformata in vacca è la Dea lunare della generazione, ma allo stesso tempo è l’Eva di una nuova razza.
Il mito della fondazione riguarda la nascita di un'entità politico-sociale, come ad esempio una città o una civiltà. Nei miti di fondazione una delle figure ricorrenti è la vacca o il bue fondatore. Il mito ellenico ci informa che Oceano e Teti si accoppiarono e generarono Inaco, che originariamente fu il re di Argo. Inaco, accoppiandosi con Melia, la ninfa dei frassini, genera una coppia, la bella Io e Foroneo il Forte. La ninfa Melia appartiene alla Terza Generazione, quella che secondo Esiodo fu creata dai frassini e appare in Argo, la Terra Primordiale. Foroneo figlio di Melia o del Frassino celeste, incarna la Terza Generazione, i primi uomini fisici. Il Frassino da cui nacquero gli uomini della generazione del bronzo, è l’albero celeste, comune a ogni mitologia ariana. Secondo alcuni racconti mitici, le prime compagne degli uomini furono le Ninfe Melie, le Ninfe dei frassini, nate dal sangue del membro di Urano caduto sulla Terra.
Foroneo, figlio di Inaco, è descritto come il Primo Uomo, l’Adamo fisico, l’Uomo della Terza Generazione.
Foroneo è noto come colui che fu il primo a utilizzare il Fuoco dopo che Prometeo l’ebbe rubato agli Dèi e fu lui a costruire le prime città. Foroneo, ebbe come figlia Niobe che ha sua volta per opera di Zeus, partorì Argo e Pelago gli antenati delle stirpi greche. Foroneo e la sua discendenza sono in relazione con Argo e con il Peloponneso.
Il mito narra racconta che Io, giunse in Egitto ed assunse il nome di Iside. Qui fu raggiunta da Zeus che le rese la forma di donna e la rese madre di Epafo, che divenne re d'Egitto e fondò la città di Menfi. Epafo accoppiandosi con Menfi, la figlia del Nilo, genera tre figlie:
1. Tebe dette il nome alla città egizia.
2. Lisianassa accoppiandosi con Poseidone genera Busiride e il gigante Anteo contro i quali combatté Ercole.
3. Libia accoppiandosi con Poseidone genera i gemelli Agenore e Belo.
Erodoto dà Epafo come nome alternativo per il Toro Apis. Poseidone era anche rappresentato sotto le sembianze di un toro, la fanciulla Io l’antenata di Libia era rappresentata sotto forma di giovenca. Il disegno dipinto su un cratere di fattura attica, Tarquinia, Museo Nazionale Tarquiniese, datato intorno al 480 a.C., nel quale Europa è raffigurata accanto a Zeus-Toro, mentre con una mano sinistra gli afferra una delle due corna, quasi nel tentativo di non lasciarlo sfuggire.
FIGURA 12. EUROPA E ZEUS-TORO MUSEO NAZIONALE TARQUINIESE
Belo accoppiandosi con Anchinoe, la Figlia del Nilo ebbe due gemelli Danao e Egitto. Egitto ebbe in sorte l’Arabia e in seguito conquistò la terra d’Egitto. Danao ebbe in sorte la Libia.
Poseidone e Libia generano i gemelli Agenore e Belo. Agenore dopo aver lasciato l’Egitto si recò in Fenicia dove regnò su Tiro, sposò Melassa da cui ebbe come figli maschi Cadmo, Cilice, Fenice, Fineo e Taso e una sola figlia Europa. Agenore che significa Forte una qualità di Ercole, il Sole e il dio che regnò su Tiro. Il mito della fondazione riguarda la nascita di un'entità politico-sociale, come ad esempio una città o una civiltà. Nei miti di fondazione una delle figure ricorrenti è la vacca o il bue fondatore.
- Romolo attaccò all'aratro il vomere di rame, accoppiando al giogo il toro e la vacca e tracciò un solco profondo a base delle mura.
- Quando Cadmo fratello di Europa, si recò dall'oracolo di Delfi per sapere dove avrebbe dovuto fondare la città di Tebe, questi gli vaticinò: “Scegli fra le vacche muggenti quella che ha su tutte e due i fianchi un disegno bianco di luna piena. Prendila per tua guida sulla strada che dovrai percorrere”
- Ilo vinse i sacri giochi ed ebbe dal Re come premio per la vincita dei giochi, 50 giovani e 50 fanciulle28 e una vacca multicolore, come la vacca dei Kabiri. Obbedendo a un oracolo, Ilo seguì la vacca avuta in premio ai giochi in Frigia, fino a che giunto sul luogo collinare detto l’Até frigia si sdraiò. In quel luogo obbedendo all’oracolo datogli dal padre Dardano, Ilo fondò una città che chiamò Ili, nota in seguito con il nome di Troia. Questa storia è simile a quella della vacca sacra Io, nel mito di Prometeo, e riguarda la nascita di una nazione, di un popolo.
Europa fu rapita da Zeus, sotto forma di Toro bianchissimo, Io fu trasformata da Zeus in un vacca bianca. Narra il mito che Zeus sotto forma di un bianchissimo Toro rapì, e secondo le versioni, portò a Creta o in Beozia sul suo dorso Europa, la figlia del re Agenore. Europa, significa anche di color bianco. Oltre che di color Oro, Bianco dicono che sia stato il montone che portò sul suo dorso Elle. Narra Erodoto una storia diversa: la giovane Europa di era la figlia del re di Tiro, in Fenicia fu rapita dai Cretesi, giunta a Creta, andava peregrinando per i paesi bagnati dal Mediterraneo, quando Venere disse ad Europa che una parte del mondo porterà il suo nome. Erodoto (484-420) scrisse che i suoi contemporanei dividevano il mondo in tre parti: Europa, Asia e Libia (Africa). Erodoto, scrive che non è chiaramente noto perché a una terra siano stati imposti tre nomi di donna e le furono assegnati tre confini con: il Nilo in Egitto, il Fasi in Colchide e lo stretto Cimmerio. Dopo il rapimento di Europa, Agenore sparse i suoi figli per ogni dove affinché la ritrovassero; questo doveva esser il motivo per cui molte regioni presero il loro nome.
- Cilice, inviato alla ricerca della sorella, dopo vane ricerche non la trovò e si stabilì in Asia Minore in una zona che fu chiamata Cilicia.
- Fenice andò dapprima verso la Libia, poi rinunciando alla ricerca si stabilì in Fenicia, divenne il capostipite dei Fenici.
- Fineo, si recò nella penisola che separa il Mar di Marmara dal Mar Nero dove fu tormentato dalle Arpie, le figlie di Elettra, la furia delle tempeste.
- Taso si diresse prima a Olimpia, dove fece erigere una statua in onore di Ercole Tiro, in seguito si fermò su un’isola ricca di miniere d’oro che prese il suo nome.
- Cadmo, nella ricerca di Europa era accompagnato da Telefassa, sua madre. Rinunciò anch’egli di ritrovare la sorella, decise di non ritornare in patria e di stabilirsi in Tracia. Cadmo divenne il re fondatore di Tebe.
Europa nuova la terra, non doveva essere popolata dai discendenti di Agenore, poiché ci dice il mito, i fratelli non la trovarono. Il motivo più probabile era che il Nord Europa era sotto la morsa della neve e del ghiaccio. I figli di Agenore popolarono zone più calde. Questi miti velano storie antichissime, dove spesso eventi apparentemente recenti appartengono a tempi preistorici. Dopo il rapimento di Europa, Agenore sparse i suoi figli per ogni dove affinché la ritrovassero; questo doveva esser il motivo per cui molte regioni presero il loro nome. La discendenza di “IO” occupò le terre di Egitto. Tebe e Libia furono generate dopo, ciò significa che erano ancora sotto le acque. Busiride ed Anteo che combatterono contro Ercole, regnarono su quelle terre.
Si ricorda che, IO l’antenata di Europa, fu trasformata in vacca bianca. Il mito ci informa che Il bianco è il colore di Europa e di IO, il colore della sottorazza europea della Quinta Razza. Che la fanciulla Europa sia rapita e fecondata proprio da Zeus in persona, riprende l’idea per cui l’Europa divenne una terra “amata dagli dei”, una terra fertile. Narra il poeta greco, Mosco di Siracusa, riferendo un altro mito di un sogno che la dea Afrodite suscitò in Europa: nel sogno la giovane vide comparire due terre, una delle quali si chiamava Asia, mentre l’altra non aveva nome. E a questa terra, Europa diede il proprio nome.
Il tempo del mito è quello delle origini, dell’uomo, della storia e dell'universo intero: in quel tempo l’ordine del Cosmo non era ancora del tutto definito e le leggi degli dèi potevano ancora essere minacciate dalla forza brutale del Caos.
Il Caos nato da Gea (la terra) e dal Tartaro (le profondità dell’oceano) prese la forma di Tifone “vasto come i continenti”, dotato di arti innumerevoli. Mentre Zeus consumava a Creta il suo amore con Europa, Tifone sconvolgeva il mondo. Molti Dèi erano fuggiti, altri mutati in animali cercavano scampo dal terribile devastatore.
Tifone attaccava lo Zodiaco per mutare il corso degli astri. Tifone, catturando il carro di Poseidone e scagliandolo in basso, terrorizzando le creature dell’acqua; devastava la terra, bloccava l’aurora, arrestava la luna, impediva alla primavera di recare sul mondo il suo vitalizzante tepore. Contro di lui il cosmo reagiva, con le frecce di Orione e del Sagittario, con i raggi delle Pleiadi e del Serpentario.
Il mito ci informa che, quando Zeus tornò sull’Olimpo trovò l’intero universo sconvolto dal figlio del Caos, e allora fu Apollo, dice, a ricordarsi di Cadmo che vagava ancora in cerca di Europa e a consigliare a suo padre di servirsi di lui. Pan, figlio di Ermes, travestì Cadmo da pastore e gli diede il suo flauto affinché la musica ammaliasse Tifone. Cadmo suonò, La musica, l’armonia, distolse Tifone dai suoi propositi distruttivi per quel tanto che bastò all’astuto Zeus per riprendere le armi che solo lui sapeva usare. La battaglia fu violenta, Tifone scagliò contro Zeus alberi, macigni, montagne, intere isole divelte con la forza delle sue mille braccia dal loro sito nel mare ma Zeus, respingeva i colpi con un gesto della mano. Poi venne la grandine, voluta dal dio, e il corpo mostruoso di Tifone fu sommerso dal ghiaccio, e vennero le folgori che accesero incendi fra le orribili, smisurate membra. Poi vennero il lampo e il tuono, infine Tifone, fu precipitato da Zeus volle negli abissi della Terra sua madre, proprio sotto la Sicilia dove, non morto, da ancora oggi voce all’Etna con gli spasimi e i gemiti della sua eterna agonia.
Secondo l’Avesta, la patria originaria e mistica degli Airyani, concepita come la «prima creazione del Dio di Luce», — Airyana Vaejo — sarebbe stata una terra dell’estremo settentrione, e anzi è detto che in essa, a un dato momento, l’inverno durò dieci mesi dell’anno, proprio come nelle regioni artiche. Si tratta dunque di un ricordo ben preciso del congelamento sopravvenuto con la precessione degli equinozi nelle regioni boreali: ricordo, cui peraltro fa riscontro quello del «terribile inverno Fibur» scatenatosi alla fine di un certo ciclo, o «mondo», di cui nelle antichissime tradizioni scandinave. Thule è il nome che i Greci davano appunto a una regione o isola dell’estremo nord, e di Thule Plutarco dice che in essa le notti per circa un mese duravano due sole ore: è proprio la «notte bianca» dei paesi boreali. E se altre tradizioni elleniche chiamano il mare boreale Mare Cronide, cioè Mare di Kronos (Saturno), questa è un’indicazione importante, poiché Kronos era concepito come uno degli Dèi dell’età dell’oro, cioè dell’età primordiale, dell’età prima dell’umanità.
Airyani, cioè Ariani è il nome degli appartenenti a questa razza, era il nome che davano a se stessi gli antenati dei popoli europei che provenivano dall’Asia. Si chiamavano Ari, Aria, Aryas, Arya, in India significa, “il santo”, e originalmente era il titolo dei Rishi, coloro che erano padroni di “Aryasatyani” ed erano entrati nel sentiero Aryanimarga per il Nirvana. Il nazismo usò questo termine in senso razziale, appropriandosene29 la discendenza come privilegio e combattendo quanti non erano ritenuti puri ariani.
Il Vendidad, il sacro libro dei Parsi, riporta i lamenti contro il Serpente, i cui morsi hanno trasformato la magnifica ed eterna primavera di Airyana Vaejo30, o in un eterno inverno, portatore di morte. A quei tempi Airyana Vaejo godeva di un clima mite, con sette mesi d’estate e cinque mesi d’inverno, dopo l’attacco del Serpente, fu trasformato in un’inabitabile landa desolata con dieci mesi d’inverno e due d’estate. I Magi Ariani dovettero così emigrare nel Sogdiana. Un altro testo ci informa che l’assalto del Maligno oscurò un terzo del cielo, che coprì di tenebre, permettendo così alle cappe di ghiaccio di serrare le terre nella loro morsa. Il Polo aveva abbandonato l’equatore, e la terra felice dove regnava l’eterna primavera, abitata dalla quarta generazione, era diventata un luogo di morte. Orfeo e Plinio31 confermano che il grande mare a nord dell’Asia era chiamato glaciale o saturnino, perché il nome gli fu dato dai giganti che lo abitavano.
Gli Zoroastriani descrivono nel Vendîdâd i lamenti elevati contro il “Serpente” (Tifone), i cui morsi hanno trasformato la magnifica eterna primavera di Airyana-Vaêjô, cambiandola in un inverno portatore di malattie e morte ... Questo Serpente è il Polo Nord, ed anche il Polo dei Cieli.32 Questi due assi producono le stagioni, secondo il loro angolo d’inclinazione reciproca. I due assi non erano più paralleli, quindi l’eterna primavera di Airyana-Vaêjô “presso il bel fiume Dâitya” era sparita … i neo-ariani dell’epoca post-diluviana avrebbero faticato a riconoscere le montagne, sulle cui sommità i loro antenati si riunivano prima del Diluvio 33.
La Vendîdâd sembra indicare un grande cambiamento nell’atmosfera dell’Asia centrale, forti eruzioni vulcaniche e lo sprofondamento di un’intera estensione di montagne nei pressi della catena del Kara-Korum.34
Finita l’era della glaciazione, finalmente tornò la primavera, gli Dèi rientrarono in festa nelle loro sedi e gli astri ripresero i loro sempiterni percorsi nel cielo. Cadmo riprese il suo viaggio alla ricerca di Europa ma Zeus, non immemore dell’aiuto ricevuto, lo volle premiare rendendolo sposo di Armonia. Cadmo suonò flauto, la sua musica fermò il Caos. La sposa di Cadmo, Armonia è anche il nome dell’intervallo di ottava musicale. La progenie di Cadmo fu creata attraverso l’Armonia. Il racconto precedente è la descrizione di convulsioni di terre, montagne, forze telluriche, glaciazioni, prima di giungere all’armonia delle forze, cioè l’assestamento tellurico e al ritorno delle stagioni, sancito dal matrimonio di Cadmo, l’Istruttore della nuova umanità, e di Armonia, cui parteciparono tutti gli Dèi, tutte le forze. Alle nozze con Armonia, Cadmo chi viene da Est, portò in dote all’Occidente, l’alfabeto. Armonia, come la dea egizia Maat, protegge la concordia e l’ordine morale e sociale. Essendo vane le ricerche, Cadmo fece ricorso all’oracolo di Delfo, dove ricevette l’ordine di abbandonare le ricerche di Europa e seguire una vacca; quando la vacca cadeva spossata, ivi doveva erigere una città. Così fece e fondò Tebe, in Beozia, il paese dei buoi. Cadmo e sua moglie Armonia, furono da Giove trasformati in Serpenti o Draghi di Saggezza e trasferiti nel Campi Elisi.
I miti suggeriscono che Cadmo trasformato in Serpente, sia il nome generico di un Istruttore Primordiale, un Naga. Il Drago come il Serpente è un simbolo doppio, come emblema dell’infinitamente-buono, e dell’infinitamente-cattivo. L’allegoria del Drago malvagio e del suo vincitore nel Cielo non è stata compresa nell’Apocalisse di S. Giovanni. Il “Drago” di San Giovanni è Nettuno, il simbolo dell’oscura Magia Atlantiana, da non confondersi con il suo opposto il Drago di Sapienza.
La Quinta Razza, conosciuta anche come l’Ariana, da non confondersi con le manipolazioni effettuate dal nazismo, era nata e si era sviluppata nel lontano Nord, anche se dopo la sommersione dell’Atlantide, le sue tribù emigrarono più a Sud in Asia.
Prometeo, il Progenitore della Quinta Razza è figlio di Asia. I mitici Iperborei sono stati descritti da Erodoto (IV, 33-5), da Pausania (I, 31, 32; V, 7, 8; X, 5, 7, 8) come sacerdoti e servitori amati degli Dei, e soprattutto da Apollo, il Signore della Luce. Apollo sterminò con le sue frecce i Ciclopi Arimaspi, per vendicare la morte di suo figlio Asceplio. Gli Arimaspi erano un popolo della Scizia, cui si attribuiva un solo occhio.
Erodoto, più istruito degli altri storici, accenna appena a un popolo che dorme per sei mesi dell’anno e rimane sveglio nell’altra metà. I Greci sapevano bene che c’era un paese nel Nord, dove l’anno era diviso in un giorno e una notte, ciascuno della durata di sei mesi; infatti, Plinio lo disse chiaramente.35 Essi parlano dei Cimmeri e degli Iperborei, e fanno una distinzione tra i due. I primi, i Cimmeri, abitavano la Palude Meotica, tra 45° e 50° di latitudine. Plutarco spiega che Cimmeri erano solo una piccola parte di una grande nazione che proveniva dagli Sciti; i quali nazione si fermò presso il Tanai, dopo aver attraversato l’Asia. Naturalmente, né gli Iperborei né i Cimmeri, gli Arimaspi e nemmeno gli Sciti, conosciuti ai Greci e in comunicazione con loro, erano Atlantiani, ma erano tutti discendenti delle loro ultime sottorazze. I Pelasgi, uno dei ceppi della futura Grecia, erano un avanzo di una sottorazza dell’Atlantide. Platone vi accenna parlando di questi, il cui nome, si afferma, deriva da pelagus, il “grande mare”.36 L’allegoria, che fa uccidere i Ciclopi da Apollo per vendicare la morte di suo figlio Asclepio, si riferisce ai degradati Ciclopi iperborei, gli Arimaspi che furono confinati nel Nord. Così Apollo — dio dei Veggenti, il cui dovere era di punire le profanazioni — li uccise e nascose il suo arco dietro una montagna delle regioni iperboree.
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23 Ovidio, Metamorfosi, I, 81.
24 Ovidio, Metamorfosi, I, 81.
25 Argo fu incaricato da Era di custodire Io, ma fu ucciso da Ermes mandato da Zeus a liberarla Era, per onorare la sua morte, trasferì i suoi occhi sulla coda del pavone a lei sacro. 26 K. Kerényi narrando la storia orfica dell’uccisione di Dioniso scrive che: ”L’organizzatrice dell’aggressione sarebbe stata la gelosa Era che già una volta aveva mandato i Cureti contro un figlio di Zeus e della Vacca Io, simile a Dioniso, Epafo”.
27 K. Kerényi. Gli Dei e gli Eroi della Grecia I, p.106.
28 Secondo l’antichissimo Libro dei Mutamenti cinese “I King”, il numero della quantità totale è Cinquanta. Nel Vishnu Purana la terra sferica che galleggia nell’Oceano dello Spazio è divisa in Sette Zone ed ha l’estensione di 50 crore di yogiana. In definitiva la semisfera inferiore da cui uscì il Creatore degli Indù, il dio Brahma ha un’estensione di 50 unità ed è divisa in 7 parti. Le sette zone sono indicate come sette oceani o divisioni di materia, e poiché ogni tipo di materia è settenario, otteniamo 7x7 = 49, valore che sommato all’Unità che rappresenta il centro del cerchio, si ottiene il numero cinquanta. Il Giorno del Giudizio è il cinquantesimo che nella tradizione cristiana è il numero del Giubileo. Il periodo fra due celebrazioni o giochi a Olimpia era di 50 mesi, mentre l’intervallo vero e proprio era di 49 mesi. Il periodo delle feste di Eros, il dio del desiderio e della generazione sessuale, le Erotidia a Thespio, presso Tebe, era appunto uguale a quello delle Olimpiadi, ed entrambi i periodi seguivano l’antica legge del rinnovamento scandito dal cinquantesimo mese, in ricordo del rinnovamento generale scandito dal cinquantesimo Anno Divino. La somma delle due semisfere è 100, il numero degli anni divini di Brahma, che secondo il calendario bramanico, coincidono con la durata del nostro sistema solare.
29 Il Nazismo si appropriò anche della svastica il più sacro simbolo orientale, facendone uno strumento di morte. In Tibet e in Mongolia, la svastica si trova sul cuore delle immagini e delle statue del Buddha: è il sigillo posto anche sul cuore degli Iniziati viventi.
30 La località era presso il bel fiume Daitya, il nome della maggiore isola di Atlantide.
31 Orfeo (V, 1077), Plinio (IV, 16).
32 Simbolizzato dagli egiziani in un serpente con la testa di falco.
33 H. P. B. Dottrina Segreta, Antropogenesi
34 Révue Archéologique, 1885.
35 Hist. Nat., iv, 12. 36 H.P. Blavatsky, Dottrina Segreta - Antropogenesi.