Eschilo narra vicende misteriche
Prometeo
ESCHILO INIZIATO AI SACRI MISTERI
Eschilo (Eleusi 525/524 – Gela 456/455 a.C.) è dagli studiosi considerato il padre della tragedia greca. A quei tempi la tragedia era considerata un evento sacro collegato a una delle più importanti feste religiose ateniesi: “Le Grandi Dionisiache”. Oltre che l’occasione, anche lo spazio in cui venivano rappresentate era sacro, e a partire da Eschilo le tragedie venivano rappresentate nel santuario di Dioniso Eleuthereo.
In Grecia la tragedia è una trasposizione dell’esperienza misterica, la tragedia diventa così “un rito profanato”. La tragedia greca di Eschilo ne costituiva una profanazione, cioè un tentativo di divulgazione essoterica. Aristofane nella commedia “Le Rane” allude che Eschilo sia stato iniziato ai Misteri Eleusini. Non dobbiamo meravigliarci se Eschilo fu accusato di aver profanato i Misteri Eleusini, stando a quel che dice Aristotele: “Ma uno può ignorare ciò che fa, per esempio … oppure dicono di non sapere che si trattava di cose segrete e ineffabili, come disse Eschilo riguardo ai Misteri”; e come conferma il suo scoliasta, il quale sosteneva che Eschilo “fu accusato di aver divulgato i Misteri Eleusini attraverso certe dichiarazioni delle sue tragedie”[1].
Figura 1. Eschilo
I misteri di Eleusi rappresentano in Grecia “la suprema esperienza conoscitiva dal VII al IV secolo a.C. (sino al terzo secolo d.C., considerando Plotino)”. Essi sono dunque vissuti come “una festa della conoscenza”, alla quale non è era concesso ai profani di prender parte. Giorgio Colli afferma che la stessa dottrina delle idee di Platone fu “un tentativo di divulgazione letteraria dei misteri eleusini”, condotto con cautela, evitando ogni compromettente allusione agli argomenti propri dei Misteri. Non era però stato cauto Eschilo che, secondo l’accusa mossagli, profanò i misteri creando la tragedia. L’intento del primo dei grandi tragediografi sarebbe così stato quello di estendere la conoscenza dei misteri ad un pubblico di non Iniziati.
Eschilo fu accusato di profanazione dei Misteri con l’esplicita richiesta di essere condannato a morte, egli sfuggì alla morte rifugiandosi all’altare di Dioniso, e giurando (o spergiurando) in giudizio di non essere mai stato Iniziato e quindi di non aver mai tradito ciò che doveva rimanere segreto. Ma Eschilo era Iniziato, altrimenti non poteva sapere. Non completamente creduto Questa fu esiliato a Gela, in Sicilia, dove morì. Questo episodio di profanazione ai Misteri, ci viene riferito da due testimoni degni di fede, Cicerone[2] e Clemente Alessandrino[3] che prima di diventare cristiano era stato iniziato ai Misteri Eleusini. Questi due scrittori, sono i soli che fanno risalire alla sua vera causa, il fatto che Eschilo fosse accusato dagli Ateniesi di sacrilegio per essere condannato alla morte per lapidazione. Essi affermano che Eschilo aveva profanato i Misteri, rappresentandoli in un pubblico teatro.
I Misteri sono chiamati perché chi li ascolta tiene chiusa la bocca e non li racconta a nessuno. Muein è, infatti, tener chiusa la bocca. Nell’antichità, non si conosceva delitto più grave di quello del tradimento o della rivelazione dei contenuti dei Misteri a persone non Iniziate di pari grado. Il traditore veniva punito con la pena di morte e con la confisca dei beni.
La grande legge della trasmissione dei santi Misteri è che essi non debbano essere proposti che agli uomini santi. E’ un crimine parlarne a quelli che dimorano volutamente nella morte immonda. La ragione del segreto iniziatico è che la maggior parte degli uomini non è adatta a comprenderlo, o peggio non preparata nel comprenderlo, e quindi lo fraintenderebbe qualora fosse reso pubblico. Gesù insegnò ai Discepoli che non bisogna divulgare le “perle” ai porci e ai cani, affinché essi non le infanghino e non sbranino colui che le ha donate (Matteo 7, 6). I porci erano nel linguaggio simbolico gli uomini non evoluti accentrati sui piaceri del cibo e del sesso.
Il silenzio iniziatico era osservato nei Misteri Eleusini, in quelli di Samotracia, nei Misteri Egizi, fra i Caldei e i Parsi. Presso gli Indù: “Ogni Iniziato di qualsiasi grado appartenga, che riveli la formula sacra deve perire... L’iniziato che tradisce i segreti dell’Iniziazione, comunicandoli ad altre caste, per le quali la scienza segreta deve restare un segreto, gli si deve strappare la lingua.” (Agrushada Parikshai).
Fin quando Atene mantenne il controllo sui Misteri Eleusini, chi infrangeva la legge si macchiava del reato di “empietà” ed era punito con la pena capitale e la confisca dei beni. Dei vari processi celebrati in età classica per questa colpa, il più famoso vide condannato a morte in contumacia e maledetto ritualmente dai sacerdoti il generale Alcibiade, accusato nel 415 a.C. di aver ripetuto i misteri in casa propria, per scherno e in stato di ebbrezza. Una condanna a morte colpì anche il poeta lirico Diagora di Melo (metà del V sec. a.C.), che aveva rivelato i misteri di Samotracia e irriso quelli di Eleusi.
Una delle cose più ardue è sapersi trattenere dal divulgare ciò che non è ancora destinato ad essere pubblicato, a scanso di pericolo. L’esempio di Eschilo è istruttivo. Gli elementi si precipitano su chi li svelle dal loro stato conforme, ed è impossibile salvare un tale traditore scervellato. Sapete che atti del genere si compiono sia nelle piccole che nelle grandi imprese, e molte volte non tanto per malvolere, quanto per leggerezza. Ma poco importa in che modo si sia aperta la gabbia della tigre. (Maestro M. in Mondo del Fuoco I, 442)
Erodoto e Pausania al contrario di Aristofane, Aristotele, Cicerone, Clemente Alessandrino, supponevano che la causa della condanna Eschilo fosse che, adottando la Teogonia degli egiziani, fece Diana figlia di Cerere e non di Latona (Eliano, Varia Historia, Libro V, XVII; I, 433).
Una coppa attica (540 a.C.) a figure nere proveniente da una tomba di Capua a Napoli (Pittore di Callis Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Stg. 172), mostra busti di Dioniso e Semele affrontati. Il dio è riconoscibile per via del cantaro che tiene in mano e per la corona di foglie di vite; ha la barba, i capelli lunghi, i baffi e la sua mano tocca quella di Semele. Semele è coronata di edera, e viene raffigurata con l’indice e il mignolo della destra volti verso i propri occhi, mentre il medio e l'anulare sono piegati e tenuti chiusi dal pollice all'altezza della propria bocca. Secondo Cornelia Isler Kerényi (2007), Semele sta eseguendo il gesto del silenzio. Questo gesto sembra alludere al silenzio iniziatico di chi ha visto, ha udito, ha vissuto il rito e non parla. Il rito è riconducibile alle iniziazioni che avvenivano a Delfi.
Figura 2. Silenzio Iniziatico
Semele, negli inni orfici è compagna di Dioniso come le altre donne e viene così cantata:
“Invoco la fanciulla figlia di Cadmo, di tutto sovrana/ Semele dal bell’aspetto, dalle chiome amabili, dal seno pieno/ madre del gioioso Dioniso portatore di tirso, / … Ora ti supplico, dea, fanciulla figlia di Cadmo, sovrana, / invocando affinché sii sempre d’animo dolce verso gli Iniziati” (Profumo di Semele).
Il segreto veniva comunque generalmente rispettato e tale rimase anche in epoche successive, per i Misteri di Eleusi e per tutti gli altri, benché lo fosse più per deferenza verso le divinità che per il timore della condanna. A violarlo polemicamente, con l’esplicita intenzione di riversare sul culto misterico l’idea di vergognosa empietà, furono gli scrittori cristiani, che oggi costituiscono il riscontro più importante per gli studiosi, su questi riti segreti.
[1] LA TRAGEDIA GRECA COME RITO ARTISTICO E INIZIATICO | Il Convivio (il-convivio.it) Angelo Tonelli - Centro Studi Ermetici Alchemici.
[2]Cicerone, Tusculane Quoestiones, I, ii, 20.
[3] Clemente Alessandrino, Stromateis 1 ii, Oper., i, 467. Ed. Potter.
DIVULGAZIONE DEI MISTERI SABAZI
H.P. Blavatsky (S.D. II, 419) scrive che non fu certo Eschilo, il “Padre della Tragedia Greca”, ad inventare la profezia di Prometeo, poiché egli ripeté solo, in forza di dramma, ciò che veniva rivelato dai sacerdoti durante i Misteri nella Sabazia. Il motivo della richiesta di condanna a morte è dovuto al fatto che nei Misteri Sabazi, si rappresentava l’intera evoluzione dell’umanità attraverso le delle Razze, ed erano svelati i segreti dei cicli e delle ere della Terra.
Sabazio una divinità Frigia era ritenuto figlio di Rea e di Crono, i cui riti si svolgevano di notte, ed era rappresentato dal Serpente della Vita.
Ascolta, padre, figlio di Crono, Sabazio, demone glorioso,
che Bacco Dioniso, dal suono rimbombante, Eirafiote,
hai cucito nella coscia, affinché portato a termine andasse
al sacro Tmolo presso Ipta dalle belle guance.
Ma, beato, protettore della Frigia, re supremo di tutto,
benevolo vieni soccorritore a coloro che celebrano i misteri.
da Inni Orfici, ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli
Nella rappresentazione orfica, siamo tutti cuciti nella coscia di Zeus e là abbiamo il dovere di crescere e di portare a termine la nostra gestazione. Quando la gestazione sarà terminata, Ipta la nutrice di Dioniso, è la madre ctonia, la manifestazione del divino che si prende cura del nostro futuro, singolo e di razza.
Il mito ritiene che i Titani assassinarono Sabazio spezzandolo in sette parti, proprio come Dioniso. Dioniso era considerato dai greci un dio di origine straniera, per lo più si riteneva il suo culto proveniente dalla Tracia, dove era venerato col nome di Sabazio. La presenza del suo nome compare in antichissimi documenti risalenti alla civiltà micenea, sorta nell’Argolide e fiorita nel II millennio a.C.
Dioniso e Sabazio sono la stessa divinità; questo secondo appellativo deriva dal divino entusiasmo proprio di questo dio. “Poiché i barbari (i Traci) esprimono con il verbo ‘sebàzein’ il gridare evoè. E taluni dei greci, seguendo questo costume, chiamano ‘sebasmo’ il grido evoistico” (Scol. Arstoph., Aves, 874-[8]).
Sabazio è raffigurato di solito barbato, in abiti orientali: lunghe brache, tunica manicata, berretto frigio. Attributi del dio sono: la pigna, il serpente, il cratere; a volte reca lo scettro sormontato dall'aquila, oppure il caduceo o lo scettro, sormontato dalla mano benedicente. A volte la sola mano, atteggiata nel gesto della benedizione latina (le prime tre dita distese, le altre due ripiegate verso il palmo) rappresenta da sé un simbolo sabaziaco. Nelle lamelle argentee di Vichy ed in quella di Tibiscum appare completamente assimilato a Zeus, con lancia e fulmine.
A Roma il misterioso dio frigio Sabazio diviene Dionisio-Sabazio-Bacco. Durante gli scavi di Ercolano agli inizi dell’800 gli archeologi rinvennero una mano di bronzo di Dioniso Sabazio. Altre sette mani erano state scoperte negli scavi di Ercolano e Pompei, fino a quell’epoca. Nel catalogo dei reperti del Museo Archeologico di Napoli, riportato nel volume dal titolo Real Museo borbonico (1824) troviamo scritto:
“Simile a tutte le altre presenta questo bronzo una destra mano con piccola parte di braccio che le serve di base, e come le altre ha piegate o chiuse le dita annulare ed auricolare, e le rimanenti erotte: l'indice ed il medio sostengono trasversalmente un fulmine, su cui posava probabilmente un'aquila della quale si veggono i soli artigli , essendo il resto del regale uccello all'intutto perduto”[1]
Figura 1. Mano di brozo di Dioniso-Sabazio
Le prime tre dita alzate e due flesse suggerirono una mano benedicente. Sull'indice e il medio posa trasversalmente un fulmine, simbolo del potere elettrico e magnetico, tenuta tra gli artigli dell’aquila di Zeus, che ora è perduta.
Seduto nel palmo della mano il vecchio barbuto con cappello frigio, è una rappresentazione di Sabazio, sembra anch’egli benedire e col gesto della destra a voler sottolineare un rito di benedizione e di augurio. Sabazio poggia i piedi su una testa di ariete adagiata su una foglia d’acanto. Ai suoi piedi un uovo poggiato su una mensola e più a destra una ghianda. In basso, racchiusa all’interno di un arcosolio la scena della donna che nutre un neonato. In basso a destra si distinguono le forme circolari di pani con croci sormontate da campanacci. Il serpente (l’Agatodemone) prende forma sul dorso della mano e dispiega la sua energia.
La pigna non a caso è legata al culto di Dioniso che è il dio del mistero inteso come solidità, forza e non a caso in molte raffigurazioni del dio, sormonta il suo scettro. In lui si fondono la rinascita, la rigenerazione e la resurrezione. La pigna contiene molti semi e pertanto un frutto fecondo, legato così al concetto di fertilità maschile e femminile.
I Prometei e le Danaidi sono le principali trilogie, in cui vengono divulgati anche se in modo velato argomenti che facevano parte dei Misteri di Dioniso-Sabazio, riguardanti l’evoluzione della razza umana, attraverso le vicende di:
- Prometeo;
- IΩ (Io), la fanciulla dalle corna di vacca (alias Iside, alias Demetra);
- Le Danaidi ad Argo.
Oltre a queste trilogie Eschilo tratta narra una tragedia dal titolo Kabiri, nella quale le avventure degli Argonauti venivano ambientate nell'isola kabirica di Lemnos. Ricordiamo che una tradizione misterica fa di Prometeo un Kabiro, e che il furto del Fuoco sacro sarebbe avvenuta a Lemnos, e che i Kabiri (Κάβειροι, Kábeiroi) erano divinità greche oggetto di un culto misterico.
Eschilo nel elaborare un’opera così vasta quale è la trilogia i Prometei, si è sicuramente ispirato alle antichissime e grandiose titanomachie (contese tra i Titani) e teomachie (contese tra gli Dèi), ai poemi di Esiodo, ove si parlava di guerre e lotte fra gli Dèi, avvenute in periodi diversi. Per gli antichi greci la narrazione mitica era storia, non favola come è intesa modernamente. Il mito di Prometeo non appartiene né ad Esiodo né ad Eschilo, ma è più antico degli stessi Elleni poiché, in verità, esso appartiene all’alba della coscienza umana” (S.D. II, 413). Trionfatori delle lotte cosmiche erano stati Urano, Chronos e da ultimo Zeus, che aveva sconfitto il vecchio padre ed i Titani a lui ostili, relegandoli in fondo al Tartaro.
Prometeo, fratello di Atlante, non partecipò alla guerra titanica e preferì mettersi in disparte convincendo alla neutralità anche il fratello Epimeteo, poiché il loro tempo non era ancora giunto. Alla fine dell’epoca dei Titani, quella dei figli di Crono, l’umanità era giunta alla Terza Generazione, l’Età dell’Oro e dell’Argento erano ormai un ricordo. Quest’umanità era la prima razza fisica vera e propria, la Terza Generazione quella dei Frassini, ma ancora priva di mente, incapace di distinguere il bene dal male.
I figli che Esiodo attribuisce a Giapeto sono due coppie, l’astuto Prometeo e lo stolto Epimeteo, e il duro Atlante e il tracotante Menezio. Gli ultimi due più temerari parteciparono alla guerra titanica ma furono sconfitti da Zeus che li punì. Si narra che Zeus precipitò nel Tartaro con la folgore il temerario Menezio. Questa fu la fine dei primordiali esseri umani quelli della Terza Generazione che si distinguevano per la violenza dei loro atti, caratteristica degli esseri primordiali, i figli della Terra, i Giganti. Atlante fu condannato da Zeus a sorreggere il vasto cielo con le mani e la testa.
Prometeo il Titano ruba il Fuoco agli Dèi e ne fa dono ai mortali, elargendo ad essi altri preziosi doni. Zeus allora, ostile alla stirpe umana, che desiderava distruggere per costruirne un’altra a lui più sottomessa e devota, interviene punendolo, senza tener in alcun conto l’aiuto datogli da Prometeo nella lotta contro il padre Chronos. Il Titano narra Esiodo in Teogonia, fu incatenato su un palo, mentre Eschilo narra nel Prometeo Incatenato che fu incatenato su una rupe deserta della Scizia, sui monti del Caucaso, dove ogni giorno, l’aquila di Zeus si ciba del suo fegato, che sempre si riforma.
Il Prometeo Incatenato di Eschilo è l’unica tragedia greca in cui tutti i personaggi sono delle divinità e lo scontro è fra due esseri immortali (Prometeo e Zeus). La scena si apre in Scizia, fra aspri monti e lande desolate. Efesto, il Potere (Κράτος) e la Forza (o Violenza, Βία) hanno catturato il titano Prometeo e lo hanno incatenato ad una rupe. Zeus lo punisce perché ha donato il fuoco agli uomini, ribellandosi al suo volere. Giunge alla rupe di Prometeo IΩ (IO), figlia di Inaco nell’aspetto di una fanciulla con le corna di vacca tormentata da un tafano.
- Il segreto della figura di Prometeo e dell’origine del genere umano è dall’autore ampiamente trattato in: Il Mistero di Prometeo.
- In questo studio sono prese in considerazione le vicende misteriche della giovane Io amata da Zeus.
- In un terzo libro “Il mito della fanciulla dalle corna di vacca e la migrazione di popoli” come si intuisce dal titolo si solleva il velo su una parte della storia misterica e perciò segreta del genere umano.
[1] http://www.vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/Aniello-Langella-La-mano-pantea-Malocchio-vesuvioweb-2012.pdf
IL MITO DI IO - LA FANCIULLA TRASFORMATA IN VACCA
Il mito ellenico ci informa che Oceano e Teti si accoppiarono e generarono Inaco, che originariamente fu il re di Argo. Inaco, accoppiandosi con Melia, la ninfa dei frassini, genera la bella Io (Ἰώ) e Foroneo il Forte. La ninfa Melia appartiene alla Terza Generazione, quella che secondo Esiodo fu creata dai frassini e appare in Argo, la Terra Primordiale. Inaco regnava sulla mitica Argo, la Terra primordiale, quella della Terza Generazione. Foroneo, figlio di Inaco, è descritto come il Primo Uomo, l’Adamo fisico, l’Uomo della Terza Generazione, la Prima Fisica. Si dice che Foroneo sposò la Ninfa Cerdo , regnò sull’Argolide, fondò le prime città mercato e che fu il primo a scoprire l’uso del Fuoco dopo che Prometeo l’ebbe rubato agli dei. Sua madre Melia era la Ninfa dei frassini, e il frassino era conosciuto come “amico della folgore” perché è il primo albero ad essere colpito dal fuoco celeste.
Zeus apparve in sogno Io (Ἰώ) la bella figlia di Inaco, esortandola a concedersi presso il lago di Lerna. Quando la giovane lo disse a suo padre Inaco, questi andò a consultare l’oracolo che gli suggerì di allontanarla dalla sua casa o Zeus avrebbe annientato la sua intera stirpe con le folgori. Zeus rapì ugualmente la giovane Io, ma furono sorpresi da Era, e allora Zeus trasformò io in una giovenca bianca. Inaco impazzì di rabbia alla trasformazione della figlia, e
maledisse Zeus, che per punizione gli inviò contro l’Erinna[1]
Tisifone che lo spinse a gettarsi in un fiume che prese il suo nome, più
precisamente era diventato il fiume: Inaco è considerato una divinità fluviale.
I continui rapimenti di belle fanciulle da parte di Zeus
stanno a significare la creazione di nuove generazioni simboleggiate dai figli
fatti nascere dal potere fecondatore. La punizione di Inaco ci informa che a
questa fase di espansione non ci si poteva opporre in alcun modo. Io figlia di
Inaco rappresenta la Generazione successiva a quella di Inaco, la Quarta.
Perché Eschilo fa
comparire “Io” figlia di Inaco con fattezze umane e bovine? Eschilo nelle
Supplici (versi 291-292) narra che “Io”, Ἰώ, la figlia di Inaco (Inakhos) era
una sacerdotessa della Dea Hera del tempio ad Argo. All’interno della Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro troviamo: “Da Argo e da Ismene figlia di
Asopo nacque Iaso, dal quale dicono sia nata Io”. Nel prologo dell’Elettra di
Sofocle (vv. 1-8) si fa cenno al boschetto sacro della figlia di Inaco, ad
Argo, in cui si trovava un santuario famoso di Hera.
Zeus, a causa di un incantesimo gettato da Ιυγξ, Iynx, una Ninfa che aveva offerto
a Zeus un filtro d’amore per farlo
innamorare di Io, sacerdotessa di Hera. Ovidio narra nelle Metamorfosi Zeus, si
avvicinò alla bella Io avvolgendo il pianeta con una coltre fitta, una nebbia
così densa da escludere la possibilità di vedere anche a breve distanza. Hera
guardò oltre il limitare dell’Olimpo, verso la Terra e vide quella coltre di
nebbia fitta, sentì delle voci e capì, ma nel frattempo Zeus aveva mutato la
fanciulla in una giovenca bianca. Altre versioni[2]
narrano che Zeus per non farsi scorgere muto il giorno con la notte. Nel fr.
685 (Pfeiffer) di Callimaco, restituitoci dallo schol. (KUEAG) a Theocr. II,
17, veniamo a conoscenza del fatto che Jince, Iynx, la figlia di Eco e di Pan,
viene trasformata da Hera in un uccello, per essere stata l’artefice
dell’innamoramento di Zeus per Io.
Hera e trasformò Iynx in un uccellino torcicollo per
punirla. Perché Hera trasforma Iynx in quel particolare uccellino? La risposta
è fornita da Pindaro, che lo definisce ”l’uccello del delirio”.
Iynx è il nome che i greci davano al ”torcicollo” (Iynx
torquilla), un uccellino simile al fringuello e al picchio, ma che ha la
caratteristica strabiliante, come i serpenti, di ruotare il collo di 360 gradi
pur restando fermo col resto del corpo. I greci dicevano che era la mobilità
fatta uccello. Un’altra sua
particolarità è di agitare incessantemente le sue piume cangianti mentre emette
un sibilo stridulo e acuto e mostra una lunga lingua ritrattile.
In questa versione
mitica, Iynx è una Ninfa o una maga, figlia di Eco, di questo fantasma sonoro
(”immagine sonora di ogni specie di voce” dice Luciano), o secondo altri,
figlia di Peitho, la persuasione amorosa. L’uccellino torcicollo è sacro alla
Luna, la giovane Io, Iside egizia, entrambe dalle corna a falce lunare sono
simboli del potere generativo della Luna.
Pindaro scrive che fosse un”invenzione di Afrodite che aveva
catturato l’uccellino Iynx e lo aveva legato vivo a una pietra focaia formando,
in tal modo, un ”incantesimo” destinato a rinfocolare la passione di Medea per Giasone.
Un cerchio con quattro raggi su cui era legato Iynx, l’uccellino torcicollo, che tramite una cordicella fissata
al centro del cerchio, era fatto roteare come un mulinello. Ne usciva un suono
stridulo e nello stesso tempo seduttivo che aveva la capacità di incantare e
avvincere la persona amata, anche suo malgrado, trascinandola ”nel cuore della
ruota magica” (Pindaro).
Iynx è un termine simile,
per assonanza, a ilinx (vortice) e a ilingos (vertigine). La ruota
associata al torcicollo in questo mito è attrattiva dell’amore, della fecondità
e nei riti misterici Kabirici delle piogge. La ruota a quattro bracci senza il
torcicollo, questo particolare strumento, è il rombo, utilizzato nelle cerimonie misteriche, che fatto roteare dai
sacerdoti produceva un suono che aveva qualcosa di spaventoso, nel
sentirlo si credeva di udire ”la voce di un essere misterioso e sovrumano
parlante nel tuono, come un Toro”. Il Toro era una delle forme di Zeus. Il
termine rombo è equivalente all’inglese toro mugghiante.
Figura 1. Ruota-Rombo proveniente dal tempio dei
Kabiri di Tebe
Il rombo, un cerchio con quattro raggi a croce, utilizzato
nei Misteri Kabirici è analogo alla svastica, la croce mistica con i bracci
piegati ad angolo retto, a significare il movimento vorticoso della materia.
Nella trilogia degli Argonauti, Eschilo dedico un’intera
tragedia agli esseri primordiali di Lemno, sotto il titolo di Kabeiroi. Secondo Pausania, Demetra Kabeiraia
portò a Prometeo e a suo figlio Efesto (entrambi Kabiri) i Misteri. Pausania[3]
dice che la divinità kabirica originale era Prometeo.
Secondo il prof. Khun e Giorgio de Santillana[4],
la parola “pro-metis” è fatta risalire alla parola sanscrita pra-mantha, il
bastoncino tramite cui si ottiene per sfregamento con moto rotatorio il Fuoco
Sacro. Ogni volta che il devoto indù
desidera adorare Agni e ottenere il Fuoco Sacro, usa due pezzi di legno disposti
a croce. Medea creò per Giasone un unguento magico. Apollonio Di Rodi narra che
l’unguento magico fatto da Medea era
detto di Prometeo, fatto col succo del fiore[5]
che ha lo stesso colore del croco caucasico dal duplice stelo e dalla radice
color rosso carne, sorto nelle gole del Caucaso, dal sangue del fegato del
Titano tormentato dall’aquila di Zeus.
La ruota a quattro raggi, simbolo del cielo e delle quattro
stagioni, e del Pramantha, è associata a Prometeo. L’Iynx o torcicollo, un uccello
con caratteristica serpentina è associato ad Afrodite dea dell’Amore. La ruota
a quattro raggi e il torcicollo uniti provocano il vortice infuocato di
passioni che conduce all’atto sessuale e alla generazione fisica.
Hera accusò di infedeltà Zeus, ma egli negò dicendo: “Non ho mai toccato Io” e per sottrarre
Io alla gelosia della moglie, Zeus
trasformò Io in una bella giovenca bianca. Eschilo nelle Supplici (299 e
segg.) viceversa narra che Hera trasformò la fanciulla in una giovenca dalle
belle corna, e solo dopo Zeus le si accostò in forma di toro focoso. Dopo di
che Hera impose alla giovenca un guardiano che tutto vedeva, Argo figlio della
Terra.
Figura 2. Testa di fanciulla con le corna bovine.
Narra Erodoto che gli Egiziani possono sacrificare i buoi
maschi e i vitelli, ma non possono toccare le mucche in quanto sacre a Iside. Perché l’immagine di Iside è sempre fatta
sotto forma di una donna con le corna di un bue, come Io è raffigurata dai
greci. Eschilo descrive la Io come una giovane con piccole corna sulla
fronte. Nel tempio di Iside a Pompei un affresco mostra a sinistra la giovane
IO con due piccole corna, che porge la mano a Iside posta sulla destra, ma
priva di corna.
Iside, per la sua virtù di madre fu rappresentata come donna
con la testa di vacca; con due cornetti di bue, fu assimilata alla Luna, con
chiaro accostamento a IO. Io, nel dialetto argivo, significa “la Luna”. Un
lessico o enciclopedia dell’XI secolo d.C., noto come Suidas, rende completa l’identificazione
sotto la voce per Iside.
Iside - Si chiama Io.
Fu strappata da Zeus da Argo e lui, temendo Hera, la cambiò prima in una mucca
bianca, poi in una nera, e poi in una di colore viola. Dopo aver vagato con
lei, entrò in Egitto. Gli egiziani, quindi, onorano Iside, e per questo
ritagliano le corna di una mucca sulla testa della sua statua, alludendo al
passaggio da fanciulla a mucca.
Io... trasformata in
una vacca… veniva custodita da Argo dai molti occhi: tuttavia Zeus l’amò in
forma di Toro. Era allora la fece inseguire da un tafano, dalla regione Greca
di Argo fino in Egitto. Colà Io partorì a Zeus il figlio Epafo[6]
che si affermava pure che non fosse altro che il Toro divino egiziano Apis. Si
affermava pure che Io fosse identica ad Iside degli Egiziani e che questa
grande Dea si fosse trasformata in una giovenca di tre colori...[7].
Io è la Dea lunare della generazione, poiché è Iside ed Eva,
la Grande Madre. Sia Iside che Io appaiono come mucche bianche e sono associate
alla Luna, simbolo di generazione fisica. Il tema della ricerca di una persona
cara, inseguito da un nemico è comune ad entrambe le dee. Infine entrambe sono
aiutate dal Dio della Conoscenza: Hermes per Io, Thoth per Iside.
Io significa la Luna, mentre l’Esoterismo la interpreta come
il divino Androgino, il mistico 2X5=10, il numero perfetto.
Figura
3. Pompei – affresco Io e
Iside.
In India la dea Vâch, è la “vacca melodiosa” del Rig Veda, “dalla
quale discende l’umanità” (Bhâgavata Purâna), si trova nell’Aitareya –
Brâhmana, inseguita da suo padre Brahmâ, che era mosso da una passione illecita,
e trasformata in un cervo. Quindi Io, in conseguenza della passione di Zeus
Toro, diventa una giovenca provvista di corna. La vacca in ogni paese è sempre
stata il simbolo del potere generatore passivo della natura, Iside, Vâch,
Venere: la madre del prolifico Dio dell’Amore, Cupido, ma allo stesso tempo
madre del Logos, il cui simbolo per gli egiziani e gli indiani diventa il Toro,
come provano Api e i Tori nei più antichi templi indù. Nella filosofia misterica,
la vacca è il simbolo della natura creatrice, e il Toro lo Spirito che la vivifica. Di qui il simbolo
sacro delle corna; queste erano sacre anche per gli ebrei, che ponevano
sull’altare delle corna di legno di Shittim; queste assicuravano l’impunità ad
un criminale che fosse riuscito a prenderle.
Tornando al mito greco, Hera reclamò la proprietà della
mucca bianca, e la affidò ad Argo
Panoptes, un gigante dai cento occhi (2x50), perché la custodisse,
ordinando: “Lega segretamente questa vacca a un albero di olivo presso Nemea”. Il
gigante Argo per riposare chiudeva 50 occhi alla volta, mentre gli altri 50 rimanevano
sempre aperti!
Ovidio nelle Metamorfosi narra che quando Io arrivò sulle
sponde del fiume Inaco in forma di vacca, scrisse il suo nome e la sua storia
nella sabbia con lo zoccolo perché il padre, il Fiume, la leggesse. Inaco capì
cos’era accaduto alla figlia e pianse, ingrossando le acque con le sue lacrime.
Zeus mosso a pietà diede l’incarico di liberare Io da Argo
il troppo vigile custode. Per riuscire ad avvicinarsi ad Argo, il dio escogitò
uno stratagemma: si camuffò da pastore e, dopo essersi tolto l’elmo e le ali,
si incamminò verso il gigante Argo, suonando una straordinaria melodia. Argo,
che riposava con metà dei suoi occhi, non si addormentava; anzi, chiese ad
Ermes come e da chi fosse stato inventato un tale strumento che procurava suoni
così soavi ed Ermes, iniziò così a raccontare.
Viveva un tempo sui
monti dell'Arcadia, una ninfa di nome Siringa, seguace del culto di Artemide
che viveva nei boschi cacciando. Tanta era la sua leggiadria che molti dèi
cercavano di possederla e tra questi anche il dio Pan, che iniziò ad
inseguirla. Siringa mentre tentava la fuga per sfuggire al dio, pregò suo
padre, il dio fluviale Ladone, di sottrarla a quella caccia. Fu così che fu
trasformata in una canna tra un canneto, sotto gli occhi di Pan. Al dio altro
non rimase che prendere alcune canne, tagliarle e legarle assieme con un
legaccio ricavando in questo modo uno strumento che emetteva una melodia
dolcissima e che da quel momento prese il nome di Siringa.
Terminato il racconto Ermes si accorse che finalmente tutti
i cento occhi di Argo si erano chiusi, addormentati. A quel punto lesto lo
uccise gettandolo da una rupe, e secondo altre versioni sfoderò la spada e
tagliò la testa al gigante liberando apparentemente la giovane Io.
Figura 4. Ceramica attica , Argo Ermes
e la giovenca Io.
Hera mutò Argo in pavone costellando la coda con gli occhi
di Argo. Anche la morte di Argo non rese la tranquillità a Io perché la dea
implacabile fece infuriare la giovenca da un tafano, che tormentandola senza
tregua la fece vagare in cerca di liberazione.
Se Io è la Luna eterna
peregrina, Argo e i suoi
cento occhi sono indicati nelle Metamorfosi da Ovidio come le stelle del
firmamento: la simbologia è completa, eccoci dinanzi a un bellissimo
mito cosmico che rende suggestivo il mistero del creato.
“Io” pungolata dal tafano inviatole dalla dea Hera, vagava
senza sosta. L’oistros, è il pungiglione del tafano che costringe ad una corsa
senza meta, e invade il cuore di rabbia (lyssa) e paura (phobos):
simbolicamente paragonabile al pungolo con il quale si sollecitano i buoi,
semanticamente paragonabile a myops e ketron.
Io - Di nuovo
mi tormenta, misera, un assillo: lo spettro d’Argo, figlio della Terra! (Prometeo Incatenato 568-9).
La punta dal tafano, questo assillo inviato da Era, che
induce Io a errare in preda alla follia, nelle Supplici appare semplicemente
come un insetto molesto, invece nel Prometeo è il fantasma di Argo, ucciso da
Hermes dopo averlo addormentato con la zampogna, che assilla Io.
Io... trasformata in una vacca… veniva custodita da Argo dai
molti occhi: tuttavia Zeus l’amò in forma di Toro. Hera allora la fece
inseguire da un tafano, dalla regione Greca di Argo fino in Egitto. Colà Io
partorì a Zeus il figlio Epafo che si affermava pure che non fosse altro che il
Toro divino egiziano Apis. Si affermava pure che Io fosse identica ad Iside
degli Egiziani e che questa grande Dea si fosse trasformata in una giovenca di
tre colori[8].
[1] Le Erinni
erano incaricate di punire tramite il rimorso chi sovvertiva l’ordine
planetario.
[2]
Crescini, Perutta, Fava Dizionario illustrato di mitologia classica.
[3] I, IX, 751.
[4] G. de
Santillana, Il Mulino di Amleto, p. 438-440, Adelphi.
[5] Il fiore
era alto ”un cubito”, e il cui succo era velenoso come quello di “un serpente”.
Il fiore di Prometeo assomiglia al croco caucasico. È possibile vederlo come la
controparte montana del fiore di Loto.
[6]
K. Kerényi narrando la storia orfica dell’uccisione di Dioniso scrive che:
”L’organizzatrice dell’aggressione sarebbe stata la gelosa Era che già una
volta aveva mandato i Cureti contro un figlio di Zeus e della Vacca Io,
simile a Dioniso, Epafo”.
[7]
K. Kerényi. Gli Dei e gli Eroi della Grecia I, p.106.
[8]
K. Kerényi. Gli Dei e gli Eroi della Grecia I, p.106.
ARGO
Nella Supplici, Eschilo fa dire al re degli Argivi (gli abitanti di Argo): “Noi ci gloriamo d’essere razza argiva, e di discendere da una giovenca dalla felice prole”. La giovenca è la giovane “Io” figlia di Inaco.
In numero di cinquanta fanciulle tornerà ad Argo … (Prometeo Incatenato 853)
Nella mitologia greca il nome Argo, compare più volte come:
- Nome della città dell’Argolide, fondata, dal dio Inaco;
- Argolide nome assegnato alla regione da lui abitata dal figlio di Zeus e Niobe[1];
- Il nome sia del costruttore, e sia della barca degli Argonauti, guidata da Giasone con 50 Eroi;
- L’essere dai 100 occhi incaricato da Hera di sorvegliare la bella IO. Argo, quando riposava, metà occhi erano chiusi, gli altri 50 vegliavano. Nella cosmogonia Indù questo essere è Varuna il Sorvegliante della Terra.
- La costellazione di nome Argo.
… dal cielo scendono le sue spie; con i loro mille occhi spiano la terra: il re Varuna vede tutto. (Atharva Veda, 4: 2. 7)
- Il cane Argo, che attende Ulisse, per un doppio ciclo di 10 anni, per poi morire, alla fine del ciclo dell’Odissea.
- Ermes Anubi, chiamato il lupo-Sole, è l’Argo che veglia sulla Terra.
Figura 1. La costellazione di Argo
La stesura di un mito, una storia misterica, era fatta per essere letta su più livelli, fino a sette. I mille e i cento occhi, fanno la spia, sorvegliano, tengono a bada e custodiscono al posto di un Assente, nel nostro caso Varuna, il dio delle acque. Nella tradizione Vedica più antica, Acqua significa le "Acque dello Spazio", o il cielo che tutto abbraccia, in un certo senso Akasa. È il massimo Dio della mitologia vedica, colui che regge il cielo stellato e le acque cosmiche. È l’Urano dei Greci.
Gli occhi sono «disseminati» sul corpo di un Guardiano. Non è così difficile comprendere l’allusione delle Stelle che spiano la terra. Così, i «cento occhi» di Argo Panoptes provvedono durante l’assenza di Era a tenere alla larga dalla Vacca Io l’«ardore» di Zeus. La stella del Cane è Sirio, e Argo è la Nave Sirio, l’egizia Sothis è espressamente una Vacca. Anzi è la Vacca dalle cui mammelle «scorre» la Via Lattea: è la Stella più luminosa dei nostri cieli, e già questo basterebbe a farne la Guardata più guardata[2].
La vacca Io (Iside), la Perseguitata, la Senza Sposo (Osiride è morto) a Zeus, era vietato di accostarsi a lei. La Vacca aveva un’elevata venerazione presso i templi egizi e indù fonte di arcane e profonde conoscenze. Perché costoro al «continuum» della Luce simboleggiato dalla Via Lattea, e al «discretum» , le luci, gli occhi, le stelle, riservano tanta attenzione?
In questo studio, l’interesse verso il nome Argo riguarda, solo un aspetto del mito, una particolare terra o regione del pianeta. In sanscrito Arghya, Arca, è una coppa, una barca, dove si offrono le libagioni. Arghya-nath è il “Signore delle Libagioni”; Arghya-Varsa è il “Paese delle Libagioni”, il nome misterioso della regione che si estende dai monti del Kailash fino quasi al deserto del Gobi da cui dovrà giungere il Liberatore, il Messia, il Kalki Avatara degli Indù. Tra gli Arya dell’Iran, i seguaci di Zoroastro, l’Aryana Varse-dya è la stessa località, che si dice sia collocata tra il lago Aral, il Baltista e il Piccolo Tibet e oltre.
Il Titano incatenato dice ad Io di lasciare l’Europa e di andare verso Oriente.
Giungerai ai confini del mondo … alle sorgenti del sole … (Prometeo Incatenato 809)
L’Argo cui si riferisce Prometeo non è situata in Grecia, ma alle sorgenti del Sole a Est, cioè in Oriente dove si dirige IO. Prometeo era figlio del Titano Giapeto e di una figlia di Okeanos, Climene, Asia o Asopis, nomi che alludono all’oriente.
Argo, Argolide era il nome dato dai Greci alla luminosa Terra del Primo Uomo, che si trovava a Oriente, nella direzione verso cui si era mossa la Vacca Io , di conseguenza il viaggio della prima nave Argo o Arca verso oriente è il racconto di una migrazione che dalle terre dei figli di Poseidone porta verso oriente verso quegli altopiani del Caucaso perché le pianure dell’est erano ricche d’acqua. Nell’antichità, la sua superficie doveva essere molto più vasta, poiché esso sarebbe il luogo di nascita dell’umanità fisica. Questo luogo misterioso è il luogo di nascita della Quinta Razza di cui la dea IO amata da Zeus, è madre e simbolo.
Secondo la Tradizione Arcaica, le Dwipa, simbolicamente isole, in realtà continenti apparsi sulla Terra fino ad oggi sono Cinque: la Terra Sacra Imperitura, l’Iperboreo, la Lemuria, l’Atlantide, l’Europa. Essi, ovviamente, nulla hanno a che fare con la suddivisione geografica del pianeta.
L’Argolide è individuata come quella regione sud-orientale del Peloponneso, in Grecia, le cui città erano Argo, Tirinto e Micene. Questa regione non è quella primordiale, ma il nome a lei dato dai sopravvissuti del Diluvio. L’usanza di fondare città con lo stesso della Città Madre valeva in passato e vale ancora oggigiorno, come per le città anche per gli uomini si continua dare ai figli lo stesso nome del Padre e della Madre senza fare alcuna confusione, perché le persone con lo stesso nome vivono in tempi diversi.
Il mito greco c’informa che Inaco, accoppiandosi con Melia, genera la bella IO e Foroneo il Forte. La ninfa Melia, la ninfa dei frassini, appartiene alla Terza Generazione, quella che secondo Esiodo fu creata dai frassini e appare in Argo, la Terra Primordiale. Si dice che Foroneo sposò la Ninfa Cerdo, regnò sull’Argolide, fondò le prime città mercato e che fu il primo a scoprire l’uso del Fuoco dopo che Prometeo l’ebbe rubato agli dei. Sua madre Melia era la Ninfa dei frassini, e il frassino era conosciuto come “amico della folgore” perché è il primo albero a essere colpito dal fuoco celeste.
Platone[3] e Clemente Alessandrino[4] dicono che Foroneo fu il Primo Uomo, o il “padre dei mortali”, l’Adamo fisico, l’Uomo della Terza Generazione. La sua leggenda era localizzata in Argolide, dove racconta Pausania, si manteneva una fiamma perpetua sul suo altare, per ricordare che egli aveva portato il fuoco sulla Terra.
Platone nomina Foroneo e Niobe come i primi uomini, vissuti prima del Diluvio di Deucalione. Niobe secondo una tradizione era considerata come la figlia di Foroneo e come la prima donna amata da Zeus[5] appare come una donna primordiale, un prototipo umano. Il collegamento di Niobe con l’oceano Atlantico deriva dal fatto che era figlia di Tantalo e di una Pleiade di nome Dione, figlia di Atlante. Niobe fecondata da Zeus, partorì Pelasgo. Pausania afferma che fu Pelasgo il primo uomo vivente, come figlio di Niobe è il prototipo della Quarta generazione. Il poeta epico Asios ci racconta che la Nera Terra pose Pelasgo nei monti boscosi dell’Arcadia affinché nascesse il genere umano.
Possiamo sorridere della sciocca auto glorificazione degli arcadici, che si dichiaravano “più antichi della luna” (προσέληνοι), e della gente dell’Attica, che dichiarava di essere esistita prima che il sole apparisse in cielo; ma non della loro innegabile antichità[6].
Pelasgo emerse dal suolo dell’Arcadia, subito seguito da altri uomini ai quali Pelasgo insegnò come costruire capanne e nutrirsi di ghiande e cucire tuniche di pelle. Per complicare la comprensione del mito, Pelasgo appare in ben diciassette genealogie diverse. Uscire dalla terra o essere da essa formati, non era per i Greci, che una forma per indicarne la discendenza, infatti, la parola homo si connette con humus, terra. È greca l’etimologia che faceva derivare la parola “popolo” da pietra. Deucalione e Pirra usciti dall’Arca, avrebbero lanciato pietre dietro le loro spalle che divennero uomini.
[1] I miti narrano di due donne: Niobe figlia di Tantalo e Niobe figlia di Foroneo.
[2] https://lartedeipazzi.blog/2017/11/21/se-tu-a-me-argo-sarai/
[3]Timeo, p. 22.
[4] Stromateis, Libro I, 380.
[5] Apollodoro, Bibl. II, 1.
[6] H.P. Blavatsky, Antropogenesi.
IL MITO DELL’ACCOPPIAMENTO DI ZEUS CON IO
Il mito è storia velata, i racconti mitici di Esiodo, la Teogonia per intenderci, erano per i Greci fatti storici, raccontati con un linguaggio volutamente allegorico e velato. Gli accoppiamenti fra divinità maschili e Ninfe o donne primordiali, proprio perché sono mitici, sono allegorici e misterici, velano la nascita di terre dalle acque dell’Oceano e la comparsa di popoli.
Nel mito fondatore della città di Argo, Inaco figlio di oceano l’oceano gioca un ruolo fondamentale perché con le sue acque riesce a rendere abitabile la terra. Altre versioni lo riconoscono come il suo primo re.
Un mito mostra Inaco e i suoi fratelli come divinità dei fiumi, Asterione e Cefiso, quali giudici durante una disputa tra Hera e Poseidone. Entrambi gli Dèi hanno rivendicato il loro potere sulla regione di Argo. Nonostante la condivisione della natura acquatica con Poseidone, votarono in favore di Hera, alla quale era stato eretto un tempio, e Io figlia di Inaco ne era diventata una sacerdotessa. Il significato mascherato geologico planetario e che le nove terre sotto il nome di Argolide dovevano risultare abitabili, emerse non sotto il dominio di Poseidone divinità del mare. Il mito narra che Poseidone avrebbe inaridito i tre fiumi e Argo sarebbe rimasta senz’acqua. Questa mancanza fu poi rimediata da Poseidone stesso, per amore della Danaide Amimone come è narrato nell’omonimo dramma satiresco di Eschilo.
Quando Io era amata da Zeus, Inaco, consultò gli oracoli di Delfi e Dodona che, dopo alcune risposte evasive, gli dissero d’allontanare sua figlia per sempre dalla sua terra, se non voleva che la sua gente venisse distrutta dai fulmini di Zeus. Mentre Io si allontanava dalla sua casa, Zeus la rapì e, secondo alcuni, Inaco lo maledisse. Il dio, allora, gli mandò la Furia Tisifone che lo fece impazzire. Inaco sparì nel fiume Aliacmone che prese poi il suo nome.
UNA GEOGRAFIA DIVERSA DA QUELLA INSEGNATA
La comparsa dei continenti, delle terre e delle razze di uomini è descritta in modo velato dai vari miti. Zeus, il potere fecondatore, innamoratosi di “IO” la figlia di Inaco, si unisce a lei e per non farsi scorgere dalla gelosa consorte da Hera, creò una spessa e buia coltre di nubi o di nebbia, oppure tramutò il giorno in una notte oscura.
Figura 1. Ipotesi sugli effetti dell’inversione dell’asse terrestre
Lo scambio del giorno con la notte equivale a un capovolgimento a un’inversione dell’asse polare con il conseguente annientamento di razze e popoli. Un simile evento è avvenuto geologicamente circa 800.000 anni fa, nello stesso periodo, secondo leggende[1] orientali, avvenne la parziale distruzione di un continente, quello della quarta Generazione. La successiva generazione che doveva ripopolare il mondo era affidata a “IO” e alla sua discendenza, e a questo proposito Eschilo ci narra delle 50 figlie di Danao.
Lo scambio del giorno con la notte è collegato alla gelosia di Hera la gelosa moglie di Zeus, il cui nome ci fornisce un’informazione importante: indica un periodo lungo, cioè un’era. Hera fu secondo alcune versioni allevata dalle Ore, identificate con lo scorrere del tempo.
La gelosia di Hera è la maschera dell’implacabilità dello scorrere del tempo che induce a fare per poi distruggere le opere compiute. Ecco perché Hera, lo scorrere del tempo, perseguitò: Ercole, Io, Leto, Epafo, e i Troiani. Il suo culto si racconta che sia nato ad Argo.
Nell’Iliade all’origine della guerra combattuta dagli Eroi a Troia, si trova il passo sulla decisione di Zeus di annientare la razza o Generazione degli Eroi (la Quarta) e sul suo orientamento a alleggerire la madre Terra infastidita dal peso degli umani moltiplicatisi a dismisura. Nell’Odissea Penelope chiede al misterioso straniero arrivato a casa sua da dove venga, se da «quercia o da roccia», drys– petra, la quercia richiama l’albero e la Generazione dei Frassini (la Terza), la roccia o pietra richiama la Generazione di Deucalione (la Quarta) che dopo il diluvio lancio dietro di sé le pietre e da essa nacquero gli uomini.
Interpretando il mito dello scambio del giorno con la notte operato da Zeus, il signore delle folgori, cioè del potere elettromagnetico, questo avvenimento corrisponde soltanto a un capovolgimento a un’inversione dell’asse polare con il conseguente annientamento di razze e popoli. Poiché le vicende di IO del suo viaggio verso Oriente, verso le sorgenti del sole, e della successiva generazione di Epafo, e della nascita di una nuova razza sono legate alla Quinta Generazione, allora la Quinta Generazione o Razza non ebbe la sua culla in Europa, a quei tempi ancora in via di formazione, ma in Asia. La Dottrina Arcaica ci dice che la Quinta Razza Madre, nacque nel punto di mezzo della Quarta Generazione, non alla sua distruzione. La Quinta Razza o Generazione tramite la sua prima sottorazza, quella degli Indo-Ariani, porta i ricordi perché testimone della maggiore distruzione di Atlantide, avvenuta secondo gli archivi occulti 850.000 anni fa, seguirono altre distruzioni, l’ultima è quella narrata da Platone e riferita dai sacerdoti egizi.
Sì, la Quinta Razza – la nostra – iniziò in Asia[2] un milione di anni fa[3] …
Queste cifre non devono stupirci perché indirettamente confermate dai bramini dell’India (i discendenti della sottorazza più antica) che assicurano che Elephanta è vecchia di 374.000 anni e da quanto narrato da Ossendowski in “Bestie, Uomini e Dèi” che citando la tradizione mongola afferma che il Paradesha (Agarthi Shamballa) in Asia centrale, fu fondato dal Primo Guru 380.000 anni fa.
Nelle antiche Stanze (di Dzyan), a Pesh-Hun è attribuito di aver calcolato e registrato tutti i cicli astronomici e cosmici a venire, e di aver insegnato la Scienza ai primi osservatori della volta stellata. Ed è Asuramaya, che si dice abbia basato tutti i suoi lavori astronomici su queste note, ad aver determinato la durata di tutti i periodi passati, geologici e cosmici, e la lunghezza di tutti i cicli a venire, sino al compimento di questo Ciclo di Vita, alla fine della Settima Razza.
H. P. Blavatsky, scrive che fra i personaggi più incomprensibili agli studiosi citati nel Mahabharata e nei Purana, il più misterioso è Narada, conosciuto dagli iniziati della razza gialla sotto il nome di Pesh-Hun. Narada è descritto come uno dei Sette grandi Rishi, un figlio di Brahma. Nel Vayu Purana, quando Daksha genera 10.000 figli per popolare il mondo, Narada si intromette nel piano evolutivo persuadendo i figli di Daksha ad astenersi dal matrimonio e dai rapporti sessuali. Daksha condanna Narada a rinascere come uomo, prendendo dimora nell’utero materno, ma questa è un’allegoria. Esotericamente egli è il governatore degli eventi duranti i vari cicli o Yuga, ed è in un certo senso la personificazione del grande ciclo umano. “Nelle antiche Stanze, a Pesh-Hun è attribuito di aver calcolato e registrato tutti i cicli astronomici e cosmici avvenire, e di aver insegnato la scienza ai primi osservatori della volta stellata. Ed è Asura Maya che si dice abbia basato tutti i suoi lavori astronomici su queste note, abbia determinato la durata di tutti i periodi passati, geologici e cosmici, e la lunghezza di tutti i cicli avvenire… Tra i Libri Segreti c’è un’opera intitolata lo Specchio del futuro, nella quale sono notati tutti i Kalpa nei Kalpa, e i cicli nel seno di Shesha, il Tempo infinito. Quest’opera è attribuita a Pesh-Hun-Narada.”[4]
Canone principale dell'astronomia indiana va considerato il Surya Siddhanta[5]. Si suppone sia stato rivelato dal Sole (Surya) alla fine del Krita Yuga o Età dell’Oro. Dai frammenti trovati nell’India meridionale, di opere antichissime attribuite ad Asura-Maya, due dotti brahmani compilarono nel 1.884-1.885 il calendario Tirukkunda Panchanga. Quest’opera fu proclamata perfetta dai migliori Pandit o studiosi indù.
La cronologia brahmanica, fornisce come tempo trascorso dall’apparire di Vaivasvata Manu, salvato dal diluvio cosmico 18.616.841 anni a.C. Questa rappresenta l’inizio dell’umanità fisica vera e propria, al tempo della Terza Generazione o Razza Radice. Tenendo conto che la comparsa del calendario Tamil risale ad un centinaio di anni fa, quando si discuteva se accettare la cronologia (essoterica[6]) della Creazione della Bibbia di poche migliaia di anni, allora non si può di certo affermare che le precedenti cifre sono state formulate col senno di poi. Nell’antichità era considerato il più grave dei peccati divulgare i segreti del tempo, peccato punibile con la morte. Fra gli Ebrei divulgare i segreti della Cabala, o i Misteri Rabbinici, era come mangiare il frutto dell’Albero della Conoscenza, e pertanto il peccato veniva punito con la morte.
La geografia di quei tempi arcaici era ben diversa da quella dei tempi nostri, le pianure dell’Asia centrale erano ricoperte dalle acque di una grande mare.
Il mito narra IO, fecondata da Zeus, genera Epafo, che accoppiandosi con Menfi, la figlia del Nilo, genera Libia, la terra del Nord Africa, che accoppiandosi con Poseidone (l’oceano), genera i gemelli Agenore e Belo. Agenore partì per la Fenicia ne divenne re e fu il capostipite di una grande stirpe. La storia inizia come sempre con una coppia di gemelli, Agenore e Belo, in seguito Danao[7] ed Egitto, figli di Belo, il cui nome è una trasformazione del Dio fenicio Baal, il Signore. Gli Egiziani sostennero che Bel, Belo dei Caldei, era il discendente di una dinastia di Re-Divini, che abbandonò la terra di Emi per fondare una colonia Egiziana sulle sponde dell’Eufrate. Non è causale che tutti questi personaggi primordiali abbiano i loro nomi collegati con le acque: Poseidone, l’oceano, Nilo il grande fiume, e le nuove terre Libia, Egitto.
La geografia delle terre e delle acque relative a quei tempi mitici era molto diversa da quella attuale. L’accoppiamento di Libia con Poseidone ci informa che la Libia per essere colonizzata dal genere umano, doveva essere completamente abbracciata e fecondata dall’immenso Golfo del Mare di Tritone che si perdeva dell’oceano Atlantico, cioè Poseidone.
Libia, il Nord Africa, genera Agenore e Belo. Il significato è quello che le stirpi di Agenore e di Belo si stabilirono in Nord Africa. Belo a sua volta genera Danao ed Egitto. Danao regna sulla Libia, rappresentata dalle terre del Nord-Africa che si affacciavano sul Golfo di Tritone. Egitto regna su una terra gemella situata a Oriente della Libia che prese il suo nome.
Il mito di Prometeo è legato intimamente alle vicende di della fanciulla Io dalle corna di vacca e alla sua progenie. Eschilo nelle Supplici (versi 291-292) narra che la giovane Io in qualità di sacerdotessa possedeva le chiavi del tempio di Hera ad Argo. Prometeo incatenato a una roccia sui monti del Caucaso, per bocca di Eschilo, predice a Io, la fanciulla dalle corna di vacca, che da lei nascerà una “stirpe reale” nata ad Argo, e là nascerà una nuova razza (gli egiziani), e una “razza femminile”, che “quinta nella discendenza” dall’Epafo negro: “… in numero di cinquanta tornerà ad Argo (835-54)”. La parola Argo deriva dal greco antico άργος (argos), che significa sia “splendente“, “luccicante” che “veloce“; l’uso dello stesso termine per entrambi i significati è dovuto al fatto che “tutto ciò che si muove velocemente causa una specie di luce fugace o sfarfallante“. Su consiglio di Atena, Danao costruì la prima nave per cinquanta rematori. Eschilo nelle Supplici descrive l’arrivo della nave con le 50 Danaidi presso il fiume Inaco, ad Argo.
Sappiamo da un altro mito, che la prima nave a cinquanta remi, fu affidata a Giasone, e fu costruita con il legno delle querce di Dodona[8] per 50 Argonauti, descritti seduti ai remi. Argo su consiglio di Atena costruì la mitica nave, che dal suo costruttore, prese il suo nome[9]. Se entrambi i miti affermano che il vascello a cinquanta remi, era la prima nave allora questa aveva il nome di Argo, Argha, Arca o Nave o Contenitore della Vita[10] che galleggia sulle acque del Caos.
L’inizio della ”X Ode Nemea” di Pindaro, tratta della città di Argo, chiamata la città di Danao.
La città di Danao. E le sue 50 figlie sui troni splendenti. Cantate o Grazie, Di Argo, sede di Hera, adatta agli Dèi.
Nella tragedia di Eschilo, le 50 Danaidi sedute sugli altari (o troni splendenti), alla periferia della città, tenendo in mano i rami dei supplici, sono raggiunte dal re Pelasgo. Cinquanta erano gli Annunaki i figli di An il Cielo, cinquanta i compagni del ciclo epico di Gilgamesh, anch’essi raffigurati seduti sui troni.
Il viaggio avventuroso compiuto dalla nave Argo, quello di Giasone con 50 Argonauti svela una geografia completamente diversa da quella attuale. Arrivati alla Colchide ripresero il Vello d’Oro tanto agognato, e decisero, quindi, di proseguire il viaggio di ritorno seguendo un itinerario eccentrico e alquanto fantasioso che li vedrà, con la loro “Nave”, risalire il Danubio (il fiume Istro), passare tra montagne e vallate, ridiscendere dal Po (l’Eridano), finire forse nel Rodano sino a spuntare nel Mediterraneo, catapultarsi nel deserto della Libia e ritornare poi a casa. Lo storico Timeo, citato da Diodoro Siculo, raccontò una storia ancor più diversa e affascinante, in quanto sosteneva che una volta recuperato il Vello d’Oro, gli Argonauti, invece di uscire dalle acque del Ponto (il Mar Nero), preferirono risalire il fiume Tanais (Don) fino alle sorgenti, raggiungendo una terra sconosciuta e un altro fiume il quale li portò nel Mare del Nord. Giunsero così nell’odierna Finlandia(!), costeggiarono la penisola Scandinava, poi attraverso l’Oceano fecero rotta verso l’Irlanda, infine virando verso occidente giunsero nella città di Gadeira (Gadir, Cadice), da dove riuscirono a raggiungere il Mediterraneo attraverso le Colonne d’Ercole, e da lì l’isola di Circe.
Dove oggi vediamo le immense pianure della Russia e della Siberia, anticamente vi era un immenso bacino d’acqua, un tempo assai più grande, residuo del preistorico Oceano Paratetide, originatosi oltre 100 milioni di anni fa, ridottosi poi di dimensioni nel corso delle lunghe ere, sino a diventare un mare interno, conosciuto dagli antichi con il nome di Oceano Scitico, di cui il Mar Nero, il Mar Caspio, il Mar d’Azov e il Lago di Aral ne sarebbero oggi gli attuali bacini superstiti. La cosa sconcertante è che circa 33-28 milioni di anni fa, questo immenso oceano euro-asiatico, passando dalla pianura dell’attuale Pannoia, sfociava nel nord Italia, all’altezza della foce del Po, ma anche alla foce del Rodano, e data la “nave” Argo, sarebbe stato più logico ambientare un percorso in quel lontanissimo passato, rispetto al tempo dei Greci, ma vero è che milioni di anni fa, non c’erano Greci antichi o popolazioni ancor più primitive, a percorrere questo mare antichissimo … o forse si?
Fatto sta, che da quel lontano periodo preistorico, questo Oceano, rinnovatosi sicuramente a più riprese attraverso le varie e lunghe fasi, specie durante l’ultima deglaciazione, alternò periodi espansivi e regressivi, sino a raggiungere, poi, l’attuale conformazione geografica a tutti nota, divenendo così questo “Abisso delle Acque”, come anticamente veniva chiamato, e che si pensava potesse arrivare sino al nord del Mondo allora conosciuto[11].
Quanto affermano gli antichi miti e ripetono le tradizioni di ogni parte del globo, non è considerato degno di approfondimento dalla maggioranza dei ricercatori scientifici. La sentenza è sempre una e una sola, sono invenzioni e favole degli antichi. Non vi è spazio per i continenti scomparsi, inoltre l’idea di trovare i resti di questi continenti, è priva di logica e provata dai fatti[12]. I geologi che negano l’esistenza delle terre mitiche come l’Atlantide o la Lemuria, basano le loro affermazioni sulla teoria della deriva dei continenti, ovvero di uno spostamento orizzontale di pochi cm all’anno dei continenti. Fu introdotta, nella sua versione moderna, nel 1912 da Alfred Wegener.
Secondo questa teoria, i continenti sono il risultato di uno smembramento iniziato milioni di anni fa da un grande continente chiamato Pangea. Questa teoria, dello spostamento orizzontale, esclude la presenza di altri continenti in fondo agli oceani. Le ipotesi di mobilismo, sono alquanto staccate dagli elementi geologici concreti. Nuove ricerche hanno portato ad abbandonare la teoria della deriva in favore della teoria, formulata nel 1968 da J. Morgan, degli spostamenti delle piattaforme tettoniche. In conformità a questa teoria, la crosta terrestre sarebbe suddivisa in venti zatteroni principali, e altri secondari, galleggianti sul magma incandescente, Le giunzioni fra questi zatteroni sono denominate faglie, la più famosa è la faglia di S. Andrea in California, una crepa in continuo movimento nel terreno. Le faglie sono legate a una serie di attività, tettoniche, vulcaniche, sismiche pressoché ininterrotte.
Lo spostamento di queste zone non sarebbe solo orizzontale, com’è insegnato nelle scuole dalla teoria di Wegener, ma anche verticale.
I geologi russi sono sempre andati in contro corrente rispetto ai loro colleghi occidentali, hanno sempre preso in seria considerazione la presenza di continenti scomparsi. La scuola russa, continuando a percorrere la via dell’eresia, in contrapposizione con la suola occidentale che considera immutabili le pianure oceaniche, afferma che occorre considerare la variazione della capacità delle fosse oceaniche come il risultato dei movimenti verticali tettonici. In base a questi presupposti, la scuola russa, è spinta ad ipotizzare che i fondali con profondità inferiore ai 5.000 metri potevano in un lontano passato trovarsi nella condizione di terre emerse: “Non si può considerare l’estensione del fondo oceanico come una caratteristica della superficie terrestre conservatasi immutata strutturalmente e morfologicamente dalle origini”[13].
Questa teoria prevede oltre ai movimenti orizzontali, anche i movimenti verticali di grandi zone della crosta terrestre. Lo scontro fra questi blocchi porta alla formazione delle grandi catene montuose come L’Himalayana e quell’Alpina. I fondali degli antichi mari ora si trovano sulle nostre vette alpine dove sono stai ritrovati migliaia di esemplari fossilizzati di pesci e piante tropicali risalenti a 50 - 60 milioni di anni fa. Una conferma a queste nuove ipotesi, i maestri ispiratori di H. P. Blavatsky e dei Teosofi, affermavano alla fine del secolo scorso, nelle Lettere dei Mahatma che le prove occorrevano cercarle in cima alle montagne e non in fondo ai mari.
Alla luce delle moderne teorie dei movimenti orizzontali e verticali l’ipotetica disposizione delle terre emerse dall’acqua in un lontanissimo passato mostrataci in una cartina di Scott-Elliot, non appare tanto azzardata.
Figura 2. Scott Elliot - Il mondo fra le due catastrofi dall’800.000 al 200.000 a.C.
[1] Gli orientali sono gelosi dei loro archivi segreti e per nessuna ragione li fanno vedere ai fuori casta, a noi occidentali.
[2] L’Asia settentrionale è detta Terra Eterna e perpetua.
[3] A. P. Sinnett, Le lettere dei Mahatma, lettera 23 b, Editrice Sirio.
[4] H.P. Blavatsky, Antropogenesi.
[5] Il più accurato libro apparso anticamente in India riguardante il calcolo del calendario fu il “Surya Siddhanta” il cui autore risulta attualmente ignoto come lo è l’esatta data di scrittura anche se le origini vengono fatte risalire dagli studiosi moderni al 400 d.C. circa, mentre la versione di cui attualmente disponiamo è più recente e risale forse al 1.000 d.C.
[6] Essoterica, un velo destinato a nascondere il vero; la cronologia esoterica è il segreto custodito dagli Iniziati alla Scienza Sacra come quella insegnata da Mosè agli Anziani.
[7] Danao e Danae significano Terra Arida. Zeus l’Etere feconda Danae, la Terra Arida rendendola fertile, il cui frutto è Perseo.
[8] Dodona e le sue querce sono citate nel Prometeo Incatenato.
[9] Secondo un altro mito le Cinquanta Figlie di Danao tornarono ad Argo con la nave Argo guidata da Giasone.
[10]L’Arghya era pure la Navis dei Misteri, un vaso di forma oblunga, a forma di falce lunare. Io dai corni lunari è il simbolo del potere generativo della Luna.
[11] https://federicobellini.net/2020/02/03/dagli-iperborei-agli-argonauti-di-federico-bellini/
[12] Vedi affermazioni scritte in “Continenti scomparsi”, del prof. B. Martinis, ordinario di geologia all’Università di Roma.
[13]R. Pinotti, “I continenti perduti”, Milano, 1955.